Ottavio Righini. Da vent’anni è Presidente di 50&Più Ravenna. Le piace scrivere, prevalentemente di sport. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Ravenna.
E’ sabato mattina, da qualche giorno non mi sento bene. Ho avuto dei problemi qualche mese fa, pare si trattasse di un tumore, operato e apparentemente con successo. Alla mia età si spera che anche eventuali metastasi siano lente ad attaccare parti vitali del mio corpo. Alla mia età perché paragonata a quella degli uomini, avendo io quasi tredici anni, sarei attorno ai novantuno. Che non è male! Dicevo da qualche giorno non sto bene: pesantezza alle gambe posteriori, difficoltà di digestione. Non sono ottimista. Mi sveglio al mattino nel mio solito posto, la lavanderia ove ho passato quasi tutte le notti della mia vita (di stare fuori di notte non mi è mai piaciuto) e oggi, forse per la prima volta viene ad accompagnarmi nel cortile esterno sul retro della casa che abitiamo, praticamente interamente a me dedicato, Stefano qui a Ravenna per preparare una delle sue solite navigate in barca. E da medico, seppure non veterinario, capisce che in me qualcosa non va e mi sollecita ad uscire: ma garantisco che per me oggi non è facile! Potrei dire che mi trascino all’esterno, essendo aperto il cancellino che conduce al giardino con una bella e fresca erbetta, approfitto per raggiungerlo. Ma che fatica. Dopo un po’ arriva Ottavio, il capofamiglia della mia famiglia umana. Mi guarda, mi sollecita ad alzarmi, ma veramente oggi non ce la faccio e sono preoccupata: credo che si veda guardandomi nel muso. Muso che da qualche mese ha sempre più peli bianchi ad indicare la mia età. Più tardi arrivano i bambini. Essendo venuti con Stefano anche la Paola, Caterina e Riccardo e avendo la Francesca con Simone necessità di lasciare dai nonni Nicola e Alice, dopo un po’ mi ritrovo, nella mia condizione di grande convalescente, con attorno il piacere di avere quattro nipotini a farmi festa, e con la nonna Licia che approfitta per fotografarmi con i piccoli nipotini vicino! E’ un brutto segno! La faccia della nonna Licia non mi fa prevedere nulla di buono! Poi, credo di aver capito che andavano tutti al mare (ma i nonni stanno via poco quindi è possibile che siano semplicemente andati a fare la spesa) mi lasciano sola e ne approfitto per muovermi, ma che fatica, liberamente (si fa per dire) in tutto il giardino. Rientrano Ottavio e Licia ed il primo pensiero che hanno è per me. Scrutano i miei comportamenti, mi chiedono come vado: intanto non sono in grado di farmi capire, in modo diretto, ma credo che percepiscano che il mio stato di salute (chiamiamolo così) non è dei migliori! Poi arrivano le altre due nipotine Nora e Anna con i loro genitori Fabrizio e Julie. Ancora la nonna a farci foto ricordo! (speriamo bene!). Trovo difficilmente una posizione che mi dia poco tormento, perché, assicuro, sto veramente sempre più male! Ed è sempre più difficile muovermi. Le gambe posteriori non mi seguono, e per di più il mio addome si sta gonfiando sempre più. Mi portano un po’ di cibo e di acqua: ma non ho fame e faccio fatica a raggiungere il secchio dell’acqua! Ormai dovrei andare a dormire, e lo voglio fare nella mia lavanderia, ma quasi quasi non riesco a fare più di qualche centimetro, pur con un’immensa fatica. Così il nonno mi solleva, abbracciandomi da sotto le zampe anteriori e mi adagia dopo un po’ al centro della mia vecchia lavanderia, bella fresca e silenziosa. Ma che dolori! Mi trattengo un po’, ma non posso fare a mano di lamentarmi: non abbaio ma guaisco a intervalli regolari. Che fatica! Durante la notte il nonno e la nonna alternativamente vengono a vedermi. Mi passano un po’ di cibo e un po’ d’acqua, non nel secchio ma in un piattino basso ove mi è in effetti più facile sorseggiare (lambire) il fresco liquido. Continuo a guaire, e garantisco che i dolori, in tutto il corpo, diventano sempre più lancinanti. Fortunatamente verso mattino, sento la nonna dire che sono le 4 e 44, mi assopisco. Forse dormiranno anche Licia e Ottavio che ho visto molto apprensivi durante la nottata.
Alle sette sono sveglia, ma un po’ rimbambita, non riesco proprio a muovermi. Non sento più tutta la parte posteriore. Viene Ottavio e, di peso, mi porta nel mio cortile: riesco a bere un po’ di acqua e mangiare un po’ di pane, con grande fatica (voglio dare un po’ di soddisfazione ai nonni, così potrebbero pensare che forse posso riprendermi). Sto molte ore ferma, mi assopisco, guaisco, tento di muovermi: invano. I nonni, percepisco, pensano di contattare l’allevamento dal quale provengo. Raccontano all’allevatore Francesco la situazione: le risposte sono piuttosto categorie e per nulla rassicuranti. Decidono di chiamare un veterinario. Il mio solito non si trova, oggi è domenica e a Ravenna si va giustamente al mare! Viene trovato il medico di noi animali, che cura i cani del mio vecchio allevamento. Mi pare di aver capito dai discorsi che i nonni fanno, anche davanti a me che faccio finta di non capire (o forse proprio non capisco nulla!) che il veterinario può venire all’ora di pranzo. Intanto io sto sempre peggio e sono certa che i miei giorni stanno per finire. Speriamo di non soffrire: ho fato una bella vita sono stata molto bene: mi hanno, fortunatamente trattano come un cane, ma molto bene. Mi hanno voluto bene i nonni, i sei nipotini ed i loro genitori: facendo a gara per stare con me, giocare con me, portarmi al guinzaglio a spasso. Ricordo di essere stata fuori con loro col sole e con la neve, nel campo dei cani, a prenderli da scuola. E da più giovane anche a correre in inverno sulla spiaggia. Ho avuto tutto quello che un cane come me può augurarsi nella vita. Vita, che si dice nel mio caso essere stata anche più lunga della media di noi boxer.
Quando arriva il mio nuovo medico quasi faccio fatica a percepire cosa sta succedendo, ho male, non riesco veramente più a muovermi. Il veterinario mi visita e parla con il nonno (la nonna ha preferito restare in casa, non è bello per una donna vedere soffrire il proprio cane: lei che ha passato con me più tempo che con tutti gli altri!).
Ci sarà una medicina che mi aiuti? Speriamo non ne posso più. Il medico decide cosa fare. Speriamo lo faccia presto e bene. Sento che sono arrivata agli ultimi minuti della mia bella vita (dimenticavo ho avuto due gravidanze felici con dieci e nove figli, tutti vivi: ma sapete noi cani dopo un annetto dimentichiamo i figli che devono in tutti i sensi sapersela cavare da soli). Sapete invece a chi mando i miei ultimi pensieri, oltreché a tutta la famiglia, ai sei nipotini: Caterina, Riccardo, Nora, Anna, Nicola e Alice, che sono sicuro non mi dimenticheranno mai.
Ecco il medico si avvicina, speriamo faccia presto, mi fa un’iniezione. Buona notte ragazzi, state allegri, come lo siamo stati tante volte insieme.