La raccolta differenziata torna a crescere dopo la pandemia ma diminuisce il riciclo. Lo dicono i dati dell’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra)
I dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale raccontano che nel 2021 l’Italia ha prodotto 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, tra quelli casalinghi e quelli di imprese, attività commerciali e sanitarie. Una crescita del +2,3% rispetto al 2020 segnato dalla pandemia. La ripresa delle attività e del pendolarismo, accentuati dal ritorno del turismo, hanno fortemente contribuito all’incremento, in particolare nei 16 comuni analizzati con più di 200mila abitanti.
Se la raccolta differenziata raggiunge il 64% nella media nazionale (dato prossimo al 65%, obiettivo che peraltro avremmo dovuto raggiungere già nel 2012), sul territorio si presenta una situazione piuttosto variegata. Sono soprattutto le regioni del Nord e del Centro (Veneto e Sardegna in testa con punte rispettivamente di 76,2% e 74,9%) a guidare la classifica dei più virtuosi. E, se Abruzzo, Toscana e Valle d’Aosta sono i più vicini al target, al di sotto del 50% resta solo la Sicilia. Una situazione non troppo drammatica, dunque. Ma c’è un altro aspetto da considerare.
Il tasso di riciclaggio per i rifiuti urbani è uno degli indicatori che misurano l’avanzamento delle politiche di economia circolare previste dall’Unione europea. Con questa definizione si intende un modello di produzione e consumo che implica il riutilizzo, la riparazione e il ricondizionamento dei materiali per allungare il ciclo di vita dei prodotti. In questo modo, non solo si riduce la quantità dei rifiuti da smaltire, ma si genera un ulteriore valore economico. Esattamente il contrario della vecchia logica di ‘estrarre, produrre, utilizzare e gettare’. Se però, la raccolta dà i suoi frutti, non si può dire lo stesso per il sistema di riciclo. Sono poche le regioni che dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti, soprattutto per la plastica, lontana (siamo attualmente al 6%) dal limite fissato del 50%. Ispra sottolinea la progressiva diminuzione degli impianti di gestione – gli operativi nel 2021 erano 657 a fronte di 673 l’anno precedente – e non se ne realizzano di nuovi a causa dell’intervento delle politiche locali, sempre più legate alle sindromi “Nimby” (non nel mio cortile) e “Nimto” (non nel mio collegio elettorale) che ne frenano la realizzazione.
Dove smaltiamo i rifiuti? Il 19% finisce in discarica, il 18% è incenerito, l’avvio a riciclo assorbe il 50% dei rifiuti urbani prodotti (23% dall’organico, 27% dal resto delle altre differenziate). In questo scenario, l’export continua a crescere (+13,3% sul 2020) a 659mila tonnellate (di cui solo 4.436 t di rifiuti pericolosi), dirette principalmente verso Austria, Portogallo, Spagna, Ungheria e Paesi Bassi. L’import registra invece 219mila tonnellate, di cui oltre 2mila di rifiuti pericolosi, prevalentemente “apparecchiature fuori uso”. I rifiuti urbani però non si limitano ad espatriare ma percorrono, si stima, 68 milioni di km l’anno entro i nostri confini, in cerca d’impianti in grado di gestirli, con pesanti ricadute ambientali e sulla Tari.
«Nonostante l’art. 182-bis del d.lgs. 152/2006 stabilisca il principio dell’autosufficienza per lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e per i rifiuti del loro trattamento a livello di ambito territoriale ottimale, l’analisi dei dati – si legge nel Rapporto – evidenzia che i rifiuti in uscita dagli impianti di trattamento meccanico biologico, vengono di frequente avviati a smaltimento in regioni diverse da quelle in cui sono stati prodotti».
Quali soluzioni? Nell’ambito dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono stati individuati investimenti e riforme per raggiungere gli obiettivi previsti a livello europeo per la transizione verso un’economia circolare. Tra questi il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, che promuove, tra l’altro, modelli di produzione e consumo sostenibili, nonché la riduzione del contenuto di sostanze pericolose nei materiali. Incoraggia inoltre la progettazione e l’uso di prodotti durevoli e riutilizzabili, scoraggiando il ricorso all’obsolescenza programmata, nota responsabile della “scadenza” di pc e telefonini. Riduce la produzione di rifiuti alimentari con una serie di misure anti-spreco. Prevede, infine, la nomina di un commissario ad acta con il potere di aumentare gli impianti di smaltimento per la differenziata così da raggiungere l’obiettivo auspicato da Ispra: il dimezzamento dello smaltimento in discarica nei prossimi 15 anni e l’incremento dei rifiuti da avviare ad operazioni di recupero, per garantire il raggiungimento del 60% di riciclaggio al 2030 e del 65% al 2035.
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