Cecilia è scappata da un compagno violento che abusava di lei e picchiava il loro bimbo. Ha trovato rifugio in una palazzina azzurra sul lungomare di Crotone. Si chiama DaMe ed è nato dalla storia di Francesca che dopo aver subito violenza, ha scoperto l’amore
Giorgio ha portato una torta al cioccolato ai suoi amici per festeggiare: il giudice ha deciso che potrà restare con la sua mamma, non dovrà trasferirsi dal papà. Quel papà che tante volte gli ha fatto paura, che gli ha tolto fiducia, fino a fargli rifiutare ogni abbraccio. Quel papà da cui la mamma è fuggita, un giorno, insieme a lui, per metterlo al sicuro, in una casa abitata da altre donne che, come la mamma, avevano cercato un riparo. E l’avevano trovato in questo angolo di pace a Crotone, che si chiama DaMe. Da qui è ripartita la vita di Giorgio e di sua mamma Cecilia, che ieri, con un vassoio pieno di pasticcini, hanno voluto condividere la loro gioia con le stesse persone con cui hanno condiviso paure e dolore.
DaMe è un housing sociale per donne vittime di violenza o con diverse fragilità, ma è soprattutto un luogo di relazioni e di costruzione dell’autonomia, per queste donne e anche per i loro bambini: promosso dall’impresa sociale Kairos, nasce dalla storia di rinascita di Francesca, giovane vittima di violenza, ed è il frutto di un amore trovato dopo un grande dolore: l’amore per Luca, da cui è germogliato questo desiderio di dare sostegno, fiducia e speranza a donne che, come Francesca, portano nel cuore le ferite di una violenza subita. Sostenuto dalla Fondazione con il Sud, il progetto vive tra le mura azzurre di una palazzina sul lungomare di Crotone che ospita, oltre all’housing sociale per le donne, spazi sociali, culturali e ricreativi e di ascolto per donne, ma anche per bambini e ragazzi.
Alla porta di questa casa ha bussato Cecilia, che ha accettato di raccontarmi la sua storia, “nonostante sia molto recente, perché altre ragazze acquistino coraggio”. Cecilia oggi ha 32 anni, il suo bimbo ne ha sei. Le chiedo un grande sforzo: riandare con la memoria al momento in cui ha deciso di chiedere aiuto. «Era primavera, il giorno in cui sono uscita da casa mia la prima volta, sentendo dentro di me il coraggio di fare qualcosa. Mentre uscivo, mi ripetevo che sarei andata soltanto per avere delle informazioni per il mio bimbo, perché se mio marito avesse saputo che chiedevo aiuto per me sarebbe stato molto pericoloso. È questo che vorrei dire a tante donne: possiamo inventarci mille modi per proteggerci, per non infastidirlo, per evitare che abusi di noi. La verità è che niente ci proteggerà, perché un uomo violento troverà sempre la sua scusa… Possiamo proteggerci solo andando via. Io non lo avevo ancora chiaro in testa, ma sapevo di dover trovare per il mio bimbo un posto sicuro, in cui fargli passare più tempo possibile. Oramai era cresciuto e camminava per casa da solo, apriva le porte e io dovevo sottrarlo alla violenza a cui iniziava ad assistere».
Tante volte si sente parlare di violenza assistita, ma solo il racconto coraggioso di Cecilia dà a queste parole un significato profondo e reale: «Il mio bimbo, così piccolo, iniziava a vedere la sua mamma rimanere immobile sotto le mani sporche del padre. Mi vedeva toccata, mi vedeva spogliata, vedeva il padre gonfio di rabbia, vedeva tutti i suoi abusi su di me. Mi ricorderò per sempre quel giorno: era inverno e il padre, per rimproverarlo di avere aperto la porta della camera dove stava abusando di me per l’ennesima volta, gli si scagliò contro e lo colpì. Gli impose di guardare e quando ebbe finito con me, fu la prima volta anche per lui. Le prime botte forti per il mio bimbo. E il mio terrore di un possibile abuso. Come si fa a picchiare così tanto un bambino in faccia, fino a spezzargli i capillari degli occhi? Dovevo sottrarlo, dovevo far finire quell’inferno».
Così Cecilia e Giorgio hanno iniziato a frequentare DaMe e, dopo qualche tempo, si sono trasferiti a vivere nell’housing: «Pensavo di non avere niente, invece ho scoperto che lì avevo tutto: una camera tranquilla, una cucina, altre donne amiche, uno spazio per il mio bambino, un sostegno e perfino momenti di spensieratezza. Sono rimasta solo per poco tempo e anche questo è importante: sapere che in questa casa puoi stare giusto il tempo che ti serve per riprendere in mano la tua vita il più velocemente possibile e per trovare un posto in cui andare. Quando intraprendi un percorso di tutela, la casa, all’inizio o per sempre, rimane all’uomo, mentre tu
sei per strada. Senza DaMe non ce l’avrei mai fatta. Il mio bimbo ha vissuto quelle settimane in housing come una piccola vacanza e io, a vederlo girare tranquillo e aprire le porte senza terrore, non credevo ai miei occhi». Ora Cecilia e Giorgio sono usciti dall’housing e vivono per conto proprio, ma DaMe continua a essere un punto di riferimento: «Un posto felice, pieno di altri bambini e circondato da adulti sani, dove Giorgio impara a studiare e a relazionarsi, si diverte all’aperto giocando, ma soprattutto non ha più paura degli abbracci, lui, che non voleva essere toccato da nessuno per colpa delle violenze viste e subite. Ora sa che non dovrà mai più andare via dalle mie braccia e dagli abbracci di chi lo ama per davvero. Perché l’amore è questo: ed è tutta un’altra cosa».
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