Grazie per avermi sorpresa, lettrici di questa pagina. Nella rubrica precedente vi invitavo a segnalare eventuali atti, pensieri o invettive razziste nei vostri confronti. Parlavo di quella stupida forma di razzismo che discrimina gli esseri umani in base all’anagrafe, al loro anno di nascita, alla loro età.
Pensavo che non mi sarebbe arrivato niente, neppure un messaggio. Mi sbagliavo.
Avete risposto.
Non in centinaia, ma avete risposto.
E questo è sorprendente, perché è difficile ammettere di essersi sentiti offesi, offese, in quanto non più giovani.
Tanto per cominciare, bisogna ammettere di non essere più giovani. Mica facile. Tutti ci viviamo come non-ancora-anziani. E poi c’è il ruolo della vittima, che non piace a nessuno.
Denunciare è sempre difficile.
Katia, o Catia, come si firma lei, ha superato ogni imbarazzo e denuncia quello che, mi pare, è un pessimo comportamento piuttosto diffuso.
«Ero al volante della mia automobile, un’utilitaria vecchia di qualche anno, ma molto ben tenuta. Ero incerta sulla corsia da imboccare in una strada a scorrimento veloce della città in cui sono nata, perciò ho rallentato e segnalato, con la freccia, uno spostamento appena appena tardivo. Dalle auto dietro di me è partito un concerto di clacson, poi un’auto gialla mi ha sorpassata e l’autista ha urlato verso il finestrino aperto: “Rottamatele!”. Si intendeva me e la mia macchina».
Katia ha sessantanove anni. Porta i capelli corti e bianchi. Ci tiene a precisare che guida benissimo. Guida dal 1970. Le può capitare di avere un’incertezza sulla viabilità, sui sensi unici, sulle zone a traffico limitato, perché non vive più a Roma, anche se ci viene molto spesso; vive a cinquanta chilometri di distanza dal caos, dalla maleducazione, dalla logica della sopraffazione del più debole che governa le strade della Capitale. Quella frase, che univa lei e la sua macchina nel comune destino di finire dallo sfasciacarrozze, l’ha offesa profondamente.
Scrive: «Avrei voluto ribattere, invece mi si sono riempiti gli occhi di lacrime».
Immaginavo, potenza degli stereotipi, che a far piangere Katia fosse stato un giovane uomo arrogante, un cafone tatuato e muscoloso col piercing al naso. Invece no. Era una ragazza.
Triste, vero? Eppure è così: siamo noi donne le prime a introiettare la svalutazione della maturità femminile.
A vent’anni ci pare impossibile diventare “signore di mezz’età” o, peggio, anziane. Ce le immaginiamo, quelle che io preferisco nominare come Grandi Adulte, povere di attrattive. Senza una vita. Costrette a mendicare compagnia dai parenti. Sole. Non è così, può non essere così.
Ma spesso è proprio quello che, inconsciamente, le donne del primo e del secondo tempo si aspettano da noi, quello che riescono a immaginare, nelle loro testine imbottite di cliché.
Le prime a svalutarci sono le nostre figlie?
Mi ha scritto Evelina, settantadue anni “portati benissimo”.
«Sono rimasta vedova nel 2011. Amavo mio marito, l’ho curato per anni, una lunga dolorosa malattia… Dopo tanto tempo in cui ho sofferto e basta, ho imparato a vivere da sola. Poi, due anni fa, ho incontrato un uomo, vedovo come me e come me afflitto da anni di convivenza con la malattia di sua moglie. Ci siamo trovati bene insieme, abbiamo parlato tanto. Poi è arrivato il primo bacio e dopo altri mesi di tentennamenti, abbiamo fatto l’amore. Non credevo che sarebbe stato ancora possibile e sono stata felice. Ingenuamente, pensando che fosse contenta per me, ho confessato a mia figlia che avevo un fidanzato. Apriti cielo! È arrossita, è ammutolita; poi se ne è andata sbattendo la porta».
Volete sapere come la penso? Penso che la prenderei a schiaffi la signorina figlia di Evelina (44 anni, tra l’altro, non 16).
Ma penso anche che questo sarà il prossimo argomento da discutere su questa pagina: i figli accettano che nella vita dei Grandi Adulti (per loro, papà e mamma) faccia irruzione l’eros?
Scrivetemi!
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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