Con la laurea, a quasi 70 anni, Emilia Peatini ha ricucito una parte della propria storia che sentiva “incompiuta”. Con l’età ha avuto la possibilità di scegliere. E ha vinto.
Emilia Peatini è mamma, nonna ed ex maestra. Fin qui nulla di anomalo. Lei, però, che per 40 anni ha insegnato alle scuole elementari in provincia di Treviso e Verona, è anche una donna che ha scelto di ripartire da sé. Dopo la pensione. Una volta congedatasi dal lavoro, ha infatti ripreso in mano i libri e, alla soglia dei 70, si è laureata. Una studentessa brillante: ha discusso la tesi – su Olga Blumenthal, professoressa di origine ebraica che insegnò lingua e letteratura tedesca a Ca’ Foscari dal 1919 al 1937 – guadagnandosi un bel 110 e lode. «È stato bellissimo approfondire la vita di questa donna» ma, aggiungiamo noi, è stato solo l’inizio. Oggi Emilia continua a fare ricerca dedicandosi a quello per cui ha studiato tanto.
Un debutto assoluto, l’università, o l’aveva già frequentata da ragazza?
È stato un ritorno. Grazie alla pensione ho rimesso piede all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Per quarant’anni sono stata un’insegnante alle elementari ma, devo dire, non era nelle mie aspirazioni quando ero una studentessa.
Che intende? Era un lavoro che non le piaceva?
Erano gli anni Sessanta quando ho dovuto scegliere la mia strada e la famiglia influiva molto su ogni decisione. Per i miei genitori, il fatto che io diventassi una maestra era una sicurezza per la mia vita futura perché la mentalità del tempo era sì che la donna lavorasse, ma che lo facesse a mezzo tempo, per conciliare tutto con l’impegno di moglie e di madre.
Una frustrazione…
In principio sicuramente ma poi, per essere stata una maestra poco ispirata, alla fine mi sono innamorata molto del mio lavoro e mi sono dedicata con propensione investendo tanto nel rapporto coi miei alunni. Cosa che mi ha dato anche tante soddisfazioni.
Ma qual era il suo sogno?
Le mie aspirazioni erano altre. Dopo la maturità magistrale perfezionai i miei studi per potermi iscrivere ad architettura. E in effetti così fu. Però, volendo essere autonoma, quando vinsi il concorso magistrale accettai di intraprendere quella carriera. Per un periodo, ricordo che lavoravo al mattino e poi di corsa a Venezia, alla Facoltà occupata – erano gli anni delle grandi contestazioni -, ma alla fine lasciai e continuai con l’insegnamento. Però mi sembrava un percorso quasi incompiuto il mio.
Lei, a quasi settant’anni, si è laureata in Storia. Perché ha scelto questa facoltà?
Fin da bambina sono stata molto interessata a come l’uomo abbia utilizzato il territorio e l’ambiente. Tant’è che con le mie classi facevo sperimentazione, studio dell’ambiente, del territorio. Perciò mi è venuto spontaneo concentrarmi sullo studio della storia e della società contemporanea. Ambito nel quale mi sono appunto laureata.
Perché una tesi sull’antisemitismo del Novecento?
Perché il tema dell’antisemitismo è stato per me sempre di grande interesse. Ho condotto studi su Olga Blumenthal, che aveva insegnato vent’anni a Ca’ Foscari. Una docente della quale si sapeva molto poco e tuttora sto lavorando su nuovissime piste di ricerca.
Com’è stato tornare all’università alla sua età?
Mi ha aiutato moltissimo la mia educazione. Per cui, anche se sono arrivata all’Università con il mio bagaglio di vita, di esperienze e di insegnamento, mi sono messa subito nel ruolo di studentessa. Si dà del lei, innanzitutto, eccetto con alcuni professori che nel tempo hanno voluto optare per il tu. Mi sono trovata molto bene con studenti giovani e con altri colleghi che come me hanno scelto di tornare sui banchi. Ho stretto amicizie che hanno arricchito tantissimo la mia vita.
Quali difficoltà ha incontrato?
A dispetto di ogni pregiudizio su noi senior, non ho avuto alcun problema con la tecnologia. Con l’inglese invece sì. Ho dovuto studiare duramente perché il livello di competenza linguistica in inglese è una conditio sine qua non a Ca’ Foscari.
Oggi continua a fare ricerca pur essendo anche mamma e nonna.
Sì e collaboro con l’istituto di ricerca della mia città, l’Istresco, Istituto di Storia della Resistenza e della Società Contemporanea. Quando ho iniziato l’università ero solo madre. Due figlie grandi di 44 e 42 anni. Nel frattempo, sono arrivati due nipoti di 7 anni e mezzo e 6.
Una delle sue figlie vive all’estero. Patisce la lontananza?
La tecnologia che abbiamo oggi rende la distanza sopportabile e meno dolorosa. Sento mia figlia ogni giorno e a volte prendiamo il caffè assieme, guardandoci tramite il telefonino. Certo, non posso stringere mio nipote ma siamo sereni, io e mio marito, e ci conforta che siano una coppia affiatata. Abbiamo tante amicizie e ognuna ha almeno un figlio all’estero. Ecco, è su questo che vorrei si riflettesse, perché questi ragazzi sono stati costretti ad andarsene e non sono rimasti qui in Italia.
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