Su un totale di quasi 2,6 milioni di residenti nel 2021, le donne sono poco più della metà degli stranieri in Italia (50,9%) e quasi il 9% dell’intera popolazione femminile. Il loro numero è cresciuto soprattutto dalla metà degli anni Novanta in poi, portandole nei primi anni Duemila a superare la popolazione maschile di cittadini provenienti da altri paesi che oggi vivono in Italia.
I dati sono quelli che il Centro Studi e Ricerche IDOS e l’Istituto di Studi Politici S.Pio V hanno raccolto nel volume “Le migrazioni femminili in Italia: percorsi di affermazione oltre la vulnerabilità”, presentato il 28 febbraio.
L’occupazione delle donne straniere
Un tema chiave per capire l’immigrazione femminile è il lavoro, perché se è vero che il tasso di occupazione delle donne è già fra i più bassi d’Europa (con il 49,9% a fronte della media del 64,5%), quello delle straniere è in assoluto il peggiore, con il 45,4%.
Mentre le donne italiane hanno un tasso di occupazione inferiore di 16,7 punti percentuali rispetto agli uomini, per le cittadine straniere il divario è di 26,3 punti. I settori a cui possono attingere sono pochi e ben specifici: gran parte della popolazione femminile di straniere in Italia lavora come collaboratrice domestica, addetta alla cura della persone o addetta alle pulizie di uffici ed esercizi commerciali. In totale, l’84,6% delle donne lavora nel settore domestico, dove circa il 70% degli addetti è straniero.
Meno opportunità degli uomini
Le immigrate hanno in generale meno opportunità degli uomini a livello occupazionale e sono destinate soprattutto a mansioni di bassa qualifica e alla cura e assistenza in casa. Ambiti ancora oggi caratterizzati, secondo i dati raccolti, da una forte esposizione al sommerso e da basse retribuzioni, con una media di 897 euro al mese. Le italiane impiegate nelle stesse mansioni sono il 29%.
Ne segue che la metà delle immigrate rientra nel 20% più povero della popolazione, nonostante le donne siano mediamente più istruite dei loro connazionali uomini. Il 42,5%, in particolare, è sovraistruita rispetto al lavoro che svolge. Inoltre, le donne sono anche più esposte al part-time involontario, che svolgono nel 30,6% dei casi, in misura quasi tripla rispetto agli uomini stranieri (11,6%) e quasi doppia rispetto alle italiane (16,5%).
Il lavoro di cura
Il crescente inserimento nel mondo del lavoro delle donne italiane ha avuto come contropartita lo slittamento delle donne straniere verso il lavoro domestico e di cura. Un compito che comunque continua a ricadere prevalentemente su figure femminili, che si tratti di un impegno per i propri cari in casa o di un lavoro.
Un altro elemento che rivela l’indagine è che a causa della pandemia, le collaboratrici domestiche e familiari siano state le più esposte al contagio da Covid-19 sul posto di lavoro, che ha riguardato 8 casi su 10. A favorire il rischio di contrarre il virus, il ritardo nell’estensione della vaccinazione prioritaria ai lavoratori domestici conviventi e ai caregiver di disabili gravi. Le assistenti familiari sono anche rimaste escluse dalle misure di sostegno o ne hanno usufruito in ritardo con il “bonus badanti”.
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