Vittorio Ressico. Analista programmatore e responsabile del CED, come dirigente, in diverse aziende del milanese. Libero professionista come consulente informatico dal 1994 e ora in pensione. Ora che ha più tempo libero si dedica alla sua passione che è scrivere. Al Concorso 50&Più nel 2015 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa e nel 2017 ha ricevuto la Segnalazione speciale sempre per la prosa. Vive a Sarnico (Bg).
La bimba, cinque, forse sei anni, risaliva alla spiaggia, dove si sdraiava e si rotolava, coprendosi completamente della sabbia che le si appiccicava addosso, al costume, al corpicino bagnato, quindi correva a tuffarsi in mare. Dal lettino sotto l’ombrellone la madre la seguiva con lo sguardo, sorridente. Poi di nuovo la piccina, risaliva, si rotolava, tornava a tuffarsi in acqua, ridendo, felice come solo lo possono essere i bimbi, quando sono felici: si divertiva tantissimo!
Emilio la osservava, incantato.
Rapito da quel gioco, così semplice, ingenuo.
– E’ senza cellulare! –
No, nessuno aveva aperto bocca. Sotto l’ombrellone non c’era che lui. Lui con il suo alter ego, la sua coscienza critica, come soleva chiamarla, il suo abituale compagno nei momenti di solitudine.
– Non ti sembra sia un po’ troppo piccola, ci mancherebbe che a quell’età fosse già condizionata dalla rete -, aveva ribattuto al proprio alter ego.
– Perché non ti ricordi già più di quel piccolino, al ristorante, che non mangiava se non gli mettevano davanti il tablet coi cartoni animati. Era più piccolo di questa -.
– Adesso non ricominciare con la solita storia, che anche papà raccontava come, da bambino, lui ed i suoi amici non avessero bisogno di giocattoli, dei soldatini o del trenino: si buttavano nella neve, ruotavano le braccia, e si divertivano a disegnare strane forme -.
– E poi, immancabilmente, ci comprava il soldatino -.
– Ecco perché, di solito, giustifico i ragazzi che non si guardano più dritti in faccia, occhi negli occhi, ma solo attraverso il display dello smartphone. I tempi cambiano, non possiamo che accettare ciò che ci portano -.
– Giustifichi, ma non approvi -.
– Beh, che vuoi… come sempre, in tutte le cose, c’è del buono e del meno buono: ogni medaglia ha il suo rovescio -.
– Che insulsa frase fatta. Anche se indubbiamente vera -.
La discussione tra Emilio uno ed Emilio due era stata interrotta dall’arrivo di un altro bambino, un maschietto, anche lui di cinque o sei anni, secondo il parere unanime di entrambi. Il maschietto si era rivolto alla bimba:
– Ciao, che fai? -.
– Gioco. Mi riempio di sabbia e poi me la faccio lavar via dal mare. E tu, che fai? -.
– Ti guardo -.
– E ti diverti? -.
– No. Come ti chiami? -.
– Lucia. E tu? -.
– Matteo -.
– Ciao, Matteo. Io sono qui con la mia mamma, invece il mio papà viene sabato. Quello lì è il nostro ombrellone. Il tuo qual è? -.
– No, non ce l’ho l’ombrellone, qui sulla spiaggia. Io abito nella villa, quella là, la vedi? E’ della fidanzata del mio papà -.
– Il tuo papà ha la fidanzata?!… -.
– Sì, è divorziato dalla mamma -.
– Divorziato dalla mamma? Cosa vuol dire che è divorziato? -.
– Che la mamma abita in una casa e il papà in un’altra. E io ho la mia stanza in tutte e due le case, ho due stanze -.
– Che strano!… E ti piace? -.
– Certo! Ho un sacco di giochi da una parte e dall’altra. Alcuni anche doppi, così non me li devo portare dietro quando mi sposto -.
– Ma come fai? Dove vai a mangiare? E a dormire? -.
– Delle volte dalla mamma, delle volte dal papà. Dipende… -.
Lucia non sembrava troppo convinta, aveva un’aria preoccupata: – Non so se mi piacerebbe -.
Emilio era così incuriosito da quella conversazione che non aveva notato l’arrivo di un adulto, cosa del tutto logica, d’altronde: non sarebbe stato normale che quel piccino fosse lì da solo. Il piccolo Matteo aveva atteso che si avvicinasse.
– Questo è il mio papà. Se vuoi ti porto a vedere la mia cameretta, ne ho una anche qui, ma provvisoria. Però c’è anche una stanza intera con un plastico grandissimo con i trenini che entrano in galleria, e le macchinine, e il paese con la stazione, la chiesa, il cinema e tutte le case… E ci posso giocare! Vuoi venire con me a vederla? -.
– Non so se posso -.
– Sì, vero che può venire, papà? -.
– Certo, se la sua mamma le dà il permesso -.
Con quelle parole si era rivolto alla signora dell’ombrellone accanto, la mamma di Lucia, che nel frattempo si era alzata dal lettino.
– Non tema, signora: in capo ad un’oretta gliela riportiamo. Anzi, venga anche lei: la mia compagna sarà felice di offrirle una bibita fresca. Le farà piacere, con questo caldo -.
La signora aveva accettato e tutti e quattro si erano diretti, lungo la battigia, verso la fine della spiaggia, là dove una scala in pietra saliva al giardino di una villa circondata da una cancellata in ferro battuto.
Emilio li stava osservando, mentre si allontanavano. A volte ci preoccupiamo per nulla, aveva pensato. Di solito, in caso di separazione dei genitori, il primo pensiero riguarda proprio la condizione dei figli. Ma Matteo era la prova concreta che un divorzio non deve necessariamente essere traumatico. Probabilmente i suoi genitori avevano raggiunto un accordo ragionevole, e così non avevano scaricato i loro problemi sulle spalle di quel piccolo ometto.
– Ne sei sicuro? -.
Figuriamoci se quell’altro Emilio non ci infilava il becco.
– Beh, l’hai sentito anche tu, no? -.
– Sì, sì, l’ho sentito. Ma ho sentito anche di più -.
– Sarebbe a dire? -.
– Io ho sentito che quel bambino vive una vita diversa da quella della maggior parte dei suoi coetanei. In fondo siamo in Italia, non in America. Evidentemente in famiglia non mancano i soldi… Ma di lui si sono presi cura solo materialmente: è come se fosse stato venduto e comprato -.
– Non dirmi che adesso sei diventato antidivorzista -.
– Nemmeno per sogno. Ma vedi, Matteo non è felice, ha una montagna di giochi, può vantarsi della propria ricchezza, ne è contento, certo, ma la felicità è un’altra cosa. Lucia sì, lei era felice. Fin tanto che non è arrivato l’altro bambino -.
– Già! Mi sa tanto che hai ragione. In effetti, dopo il suo arrivo, quelle risa gioiose, squillanti, sono cessate di colpo. Lucia è subito diventata molto seria, più che incuriosita sembrava quasi preoccupata… -.
– Forse ha sentito che qualcosa non andava. Noi abbiamo dovuto rifletterci su, ragionarci, ma lei aveva capito, istintivamente -.
– I bambini non hanno una struttura mentale complessa come la nostra, non sanno cosa siano i freni inibitori, sono semplici, diretti… -.
– Struttura mentale… Volevi dire stortura, vero? -.
– Sì. Stortura, giusto -.
Per alcuni minuti Emilio aveva smesso di pensare.
Guardava il mare. Con la mente vuota, come lo sguardo. Poi, come portato dalle onde, gli si era affacciato un altro pensiero. Lucia aveva lasciato il gioco che tanto la divertiva senza pensarci due volte. Il suo animo puro l’aveva spinta a seguire il nuovo amichetto che, lo aveva capito, lo aveva sentito, aveva bisogno di lei, di una bambina con cui confrontarsi, con cui condividere i propri sentimenti. Naturalmente senza saperlo.
– Hei! Non sarebbe il caso di smetterla? Cosa vuol dire questo tuo farneticare? Da quando sei diventato uno psicologo dell’infanzia? -.
L’altro Emilio, puntuale, l’aveva richiamato all’ordine.
Ma non aveva fatto in tempo a rispondersi. Senza che lui se ne fosse accorto, zitta zitta, gli si era seduta accanto sua moglie.
Aveva parlato solo quando si era voltato verso di lei: – Due soldi per i tuoi pensieri -.
– Stavo solo osservando – aveva risposto, non ancora del tutto presente.
– Che cosa? -.
– La vita. Stavo osservando la vita -.
– Osservare la vita? La vita va vissuta, non osservata! -.
– L’ho fatto per oltre settant’anni, può bastare, no? -.
– No, certo che non basta. O vuoi essere come quei pensionati che se ne stanno per ore ed ore al margine di un cantiere a guardare gli operai al lavoro? -.
– Va bene, va bene. Ma anche osservare è vivere! Serve a capire… e a tirare le somme -.
– Dunque? -.
– Dunque, ho capito una cosa che, fino ad ora, mi era sfuggita. C’è in noi un tale bisogno di comunione con i nostri simili che non possiamo essere felici da soli. Dobbiamo poter condividere la nostra gioia, altrimenti non è gioia. Semplicemente -.
– Bravo: non c’è male, davvero un pensiero profondo. La solitudine può essere uno stato di serenità, di pace, ma non di felicità. Peccato che tu ci sia arrivato solo adesso, ora che sei vecchio -.
– Già, peccato! Ma guarda che non sono vecchio, non del tutto, almeno. A farmi sentire giovane ci sono tanti bei ricordi -.
– Uhm… ricordi… E interessi no? -.
– Beh, veramente… quella signora a tavola con me, in albergo, davvero una bella donna, affascinante, anche lei… diversamente giovane, così distinta e affabile… -.
Emilio aveva voluto fare l’ironico, sperando di spiazzare la moglie. Che, invece, aveva risposto restando sullo stesso rigo, punzecchiandolo: – Appunto. Noto con piacere che un pensierino ce l’hai fatto! Dunque, perché non rimettersi in gioco? Ma se credi di non avere alcuna chance… -.
– Non si tratta di questo. Mi sento troppo stanco, non posso credere di poter affrontare ancora le emozioni di una volta. Soprattutto, non ho voglia di cambiamenti, di novità… Desidero solo mantenere la mia tranquilla ordinata quotidianità -.
– Dai, che fai, ti prendi in giro da solo? Davvero non ti accorgi di come sei sempre pronto ad intraprendere una nuova piccola avventura, si tratti di una serata diversa, o di una gita in compagnia, o anche solo di uno spettacolo o un libro? Davvero pensi di non avere più frecce al tuo arco? Da quando hai cominciato a sminuirti così tanto da non considerarti più assolutamente unico?-.
– Oh, no! So benissimo di essere assolutamente unico, esattamente come tutti gli altri -.
– Vedi? La lucidità mi pare non ti manchi! -.
– Sì, abbastanza lucido lo sono ancora, quanto basta per tenere i piedi a terra -.
– Bah, hai detto che quella signora al tuo stesso tavolo è affascinante, distinta… una bella donna, no? E allora, vale la pena di approfondire! Come te lo devo dire che la vita va vissuta, non osservata? -.
– Ho capito! Sai, quella signora di cui si diceva prima, quella che siede al mio tavolo… penso che stasera le farò la corte -.
E quella signora non pensò di ribattere, si limitò a sorridere.