Vittorio Ressico.
Maturità scientifica nel 1968 e poi quattro anni del corso di fisica, senza conseguire la laurea. Analista programmatore e responsabile del CED, come dirigente, in diverse aziende del milanese. Libero professionista come consulente informatico dal 1994 e, dal 2008 al 2013, gestore di bar-caffetteria a conduzione familiare. Ora è in pensione e si dedica alla sua passione che è scrivere. Al Concorso 50&Più nel 2015 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa e nel 2017 ha ricevuto la Segnalazione speciale sempre per la prosa. Vive a Sarnico (Bg).
“Siete stati appassionati quando era tempo, e adesso state godendo di quella tenerezza sazia che è molto meno faticosa della solitudine delle vostre amiche (le separate, le divorziate, le vedove), e molto meno impegnativa degli amori in fase iniziale. O centrale. O terminale”.
Sono parole di Lidia Ravera, dalla rivista 50&Più del luglio/agosto 2019, rivolte alle donne, ma vanno altrettanto bene anche per gli uomini. Una volta terminato di leggere l’articolo sono andato a cercare la mia copia di “Porci con le ali”. Ormai uso a diffidare della mia memoria, volevo sincerarmi di ricordare esattamente il nome di chi l’aveva scritto. E la data di uscita del libro. Sull’autrice, sebbene mi riuscisse difficile accostare questa “tenerezza sazia” a quelle “orecchie così tese che sentivo fischiare le scale” di Antonia, no, non mi sbagliavo. Ma ero convinto di aver letto il libro a quindici, sedici anni. Il che non aveva senso: avrebbe dovuto essere stato pubblicato almeno un paio d’anni prima del ’68, quando i tempi non erano assolutamente maturi. E infatti era uscito nel 1976, quando già di anni ne avevo ventisei. Dunque, quarantaquattro anni fa: quanta acqua sotto i ponti, e quanto siamo cambiati… tutti!
Poi sono tornato a riflettere su quelle belle parole. Certo, l’importante è evitare l’impegno, la fatica, le emozioni: non possiamo permettercelo, semplicemente, o, se preferite, non ce lo permettono i nostri pacemaker, i nostri by-pass, le articolazioni arrugginite, i muscoli atonici, le ossa fragili. Sempre che non si voglia parlare, a proposito degli impegni d’amore, della scarsità di produzione del testosterone, fatto che in economia sarebbe classificato come ciclo recessivo, ma in questo caso, al contrario del pil che prima o poi tornerà a crescere anche nel nostro Paese, qui abbiamo a che fare con una fase discendente costante e inarrestabile.
Con le ben note conseguenze. E non fa niente se ci raccontiamo che l’uva non è matura, pur sapendo che non si tratta di questo ma del fatto che, ormai, per noi, è troppo in alto. Tanto più che non c’è alternativa, o, meglio, l’alternativa ci sarebbe, ma non è il caso di prenderla in considerazione.
Penso a quanto siano belli i colori dell’autunno, così caldi, pieni, maturi; così consapevoli del contrasto con quelli della primavera che “brilla nell’aria e per i campi esulta”. Il guaio è che dopo la primavera viene l’estate, mentre dopo l’autunno… Mi affascina il giallo ruggine delle foglie, ancora tenacemente attaccate al ramo, fino al prossimo alito di vento un po’ più forte, fino al momento in cui, inevitabilmente, cadranno ondeggiando a raggiungere le compagne a terra. Come i sempre più frequenti, tanti, troppi funerali, di parenti, amici, compagni di scuola, semplici conoscenti… Una di quelle foglie sono io, e prima o poi toccherà anche a me di lasciare il ramo.
Non per questo mi abbandono a funerei pensieri, anche se condivido l’affermazione che un pessimista non sia altri che un ottimista che ha fatto esperienza; tuttavia, come mi è stato suggerito da non ricordo più chi, se vedo il bicchiere mezzo vuoto mi adopero per versarne il contenuto in un bicchiere più piccolo, che risulterà ovviamente quasi pieno. Mi giudicano un inguaribile ottimista e, quando me lo fanno notare, confermo. D’altronde, sottolineo, mi sono sposato, ho divorziato e mi sono risposato: se non è ottimismo questo…
Ho letto che, secondo uno studio dell’università di Washington, è previsto un ulteriore aumento dell’aspettativa di vita, almeno dalle nostre parti. In Italia, entro il 2040, si potrebbe passare da un’aspettativa di 82,3 anni (dato 2016) a 84,5.
Sai che figata!
Io avrò allora, signora morte permettendo, 90 anni: che faccio? Cerco di continuare a vivere per alzare la media, oppure devo ritenermi soddisfatto e passare la mano?
Comunque, vediamo di non piangerci troppo addosso, o almeno evitiamo stupide gare come quella alla quale mi è capitato di quasi partecipare.
Alla fine dell’estate dell’anno scorso, con mia moglie, ci siamo trovati a conversare con una coppia, più o meno nostri coetanei, appena conosciuta. A pranzo, in una baita di montagna, dove è buona regola, quando non c’è posto, sedere accanto a chi capita. Dopo i soliti convenevoli, quando sono arrivate le nostre ordinazioni:
“Certo che non avete problemi di colesterolo… Complimenti!”, esclama la signora, guardando alternativamente, con un po’ d’invidia, i ravioli tirolesi, affogati in un mare di burro e formaggio, di mia moglie, e le mie tre uova tre, all’occhio di bue, dal tuorlo di un colore arancione vivo, niente a che vedere col giallo pallido di quelle del supermercato, adagiate su un letto di speck e patate.
“No, nessun problema: una pillola al dì ed è tutto sotto controllo”, rispondo, anche per mia moglie.
“Io, invece, con il diabete, devo stare molto attento”, dice il marito, scoprendosi il braccio per mostrarci l’apparecchio che misura costantemente la glicemia.
Al che, mia moglie: “Ho anch’io un po’ di diabete, ma in forma leggera, almeno per ora: non assumo medicinali specifici anche perché, dopo un’angioplastica e quattro bypass, prendo già tante di quelle pillole…”.
“Oh, se è per questo”, s’intromette di nuovo la signora, “dopo l’asportazione di due tumori, uno al seno ed uno all’utero, sono diventata la prima azionista della farmacia sotto casa”.
Mi guardano, tocca a me partecipare: “Passo, anzi, non gioco proprio. Da mettere sul piatto non ho che una rimozione delle emorroidi di oltre vent’anni fa. E non vale!”.
Sono, tutto sommato, in buona salute e dunque accetto, consapevolmente, di avere davanti meno anni da vivere di quanti ne abbia già vissuti. La morte, anche se sembra un controsenso, è l’essenza stessa della vita: non c’è nulla di vivo che non finisca, e non c’è modo che muoia ciò che non è vivo. La vita eterna è una contraddizione in termini, è la morte ad essere eterna. E va bene così: sai che noia l’eternità!
Ora, cercare qualcosa di positivo nell’essere più vicini alla fine è vano, oltre che pretestuoso. Ma, come si usa dire, quando c’è la salute c’è tutto, o quasi: diciamo tutto quello che ci consente il nostro reddito. Tuttavia, anche se il mio fisico risponde ancora in modo accettabile, non posso dire altrettanto per la memoria. Se mai ci fosse una pillola per recuperarla o, quanto meno, non perderla ulteriormente, per me sarebbe del tutto inutile, non servirebbe a nulla: mi scorderei regolarmente di prenderla. Il che, da quel che sento, è assolutamente comune: peccato che io, sovente, mi ricordi perfettamente di aver riposto nel baule dell’auto le ciotole del cane, di aver spento la luce del box e abbassato la serranda basculante, salvo poi trovare il box aperto, con le luci accese, e le ciotole mancanti. E poi dicono che non bisogna credere ai fantasmi!
Inoltre, sono diventato estremamente ansioso, intollerante e, soprattutto, insofferente: non ho niente da fare, ma voglio farlo bene e in fretta. Per favore, non intralciatemi, non ostacolatemi.
Anche questo è, indubbiamente, un segno dell’età, grazie alla quale molte cose vanno perdonate: non per nulla anche le pene detentive, se non oltre un certo limite, quando siano comminate agli ultrasettantenni, godono di una sospensione condizionale; o almeno così mi pare. E facciamo finta che sia un vantaggio.
Proprio approfittando di questa sorta di impunità, qualche mese fa, prima dello scatenarsi della fobia per il covid19, mi sono preso una piccola soddisfazione. Ero nella sala d’attesa dell’area prelievi, con il mio bravo numerino in mano, per fare il tagliando, il solito periodico controllo preventivo, glicemia, uricemia, colesterolo, trigliceridi… in attesa del mio turno.
Tutti i posti a sedere, via via, erano stati occupati da persone di varie età, ma tutte certamente più giovani di me, e tutte, dico proprio tutte, con in mano il proprio smartphone, chi a leggere, chi a chattare, chi a dimenarsi sulla sedia nel seguire le mosse di un videogioco.
Meno male che il prossimo numero che sarà chiamato è il mio, pensavo. Ma prima che scoccasse il momento, ecco entrare una giovane signora, in evidente avanzato stato di gravidanza, che, preso il proprio numero, si guarda intorno, un po’ smarrita. Attendo qualche secondo, poi, visto che non succede nulla, mi alzo e invito la signora a prendere il mio posto, porgendole anche il mio biglietto, per farle saltare la coda: “Prego, si accomodi: il prossimo tocca a lei”.
“Ma no, non è il caso, sto bene…”.
“Insisto, davvero. La prego, mi permetta di far fare una bella figura di merda a questo branco di maleducati”.
“Beh, se la mette così…”.
Reazioni: zero! Solo l’infermiera, al banco dell’accettazione, mi sorride e mi mostra il pollice alzato. Accetto il complimento con un cenno del capo e riporto l’attenzione sulle persone in attesa: burattini di legno che di vivo hanno solo il telefono. Ho parlato a voce alta, volevo farmi sentire. Qualche anno fa, probabilmente, mi sarei limitato al gesto di cortesia, evitando commenti troppo salaci, non ne avrei avuto il coraggio e, di sicuro, non sarei stato capace di usare quella parolaccia che inizia per m. D’altra parte, la perdita parziale o totale dei freni inibitori, per quel che ne so, è strettamente correlata all’acquisizione degli anni.
Peccato che le mie manifestazioni di intemperanza, a volte, siano ingiustificate, esagerate.
Anche nei confronti di chi non le meriterebbe proprio, non come nell’episodio che ho narrato.
A questo punto non mi resta che sperare che chi mi sta vicino abbia un po’ di pazienza in più della mia. E, a proposito, la cosa migliore, credetemi, è morire giovani, ma un po’ dopo i novant’anni, senza specificare quanto, purché sia tanto.