Sono giorni convulsi questi nelle residenze per anziani. Mentre si moltiplicano le segnalazioni di decessi per Coronavirus, da Nord a Sud si predispongono interventi di sanificazione nelle residenze che li ospitano.
Crescono le denunce di familiari che, tenuti lontani dalle disposizioni di legge, fanno sapere che mancano, in molte strutture, i presidi fondamentali per contenere l’epidemia.
Il quadro delle competenze fra Stato, Regioni e Comuni non è ben definito. Non è chiaro a chi spetti il compito di fornire mascherine, guanti e altri presidi fondamentali per ridurre il rischio contagio.
C’è poi il problema che molte di queste strutture operano in regime privatistico e, talvolta, come è emerso dalle cronache, fuori dalla legalità. Il tutto rende la situazione assai difficile da gestire, specie in caso di emergenza.
Il contagio si è diffuso rapidamente. Ha ucciso molte persone in strutture residenziali di Lombardia e Veneto, ma di recente anche delle Marche, del Lazio e della Campania. Ora si sta estendendo anche alle strutture di tutto il Mezzogiorno.
In questo contesto, i governi locali si stanno muovendo in ordine sparso per preservare le residenze per anziani.
Il Governatore del Veneto ha affermato che il Coronavirus «purtroppo verrà ricordato come il virus delle case di riposo, perché colpisce le persone più deboli». Ha annunciato quindi che, nella sua Regione, attuerà un piano ad hoc e uno screening nelle case di riposo per fornire assistenza specifica.
La Regione Piemonte, in un comunicato stampa, ha annunciato la distribuzione della prima tranche di 30.000 mascherine agli operatori delle case di riposo e la messa in campo di tutte le risorse e le forze disponibili.
La Regione Liguria, sempre in un comunicato stampa, ha reso noto che sarà data la massima attenzione alle residenze sanitarie, «l’anello debole della catena».
Il Regione Campania ha diramato una nota alle Asl chiedendo di incrementare i controlli nelle strutture di ricovero del suo territorio.
Nelle Marche, un’ordinanza del 26 marzo favorisce la mobilità dei volontari del terzo settore per l’assistenza a persone ricoverate in strutture residenziali socio-assistenziali.
L’unico provvedimento organico finora emesso è della Regione Toscana. È l’Ordinanza n. 21 del 29 marzo.
Stabilisce le misure da prendere sia se gli ospiti delle strutture manifestino condizioni cliniche instabili sia se presentino sintomi lievi di contagio.
Nel primo caso sono presi in carico del Servizio sanitario regionale. Nel secondo sono isolati “in una struttura socio-sanitaria appositamente dedicata, con livelli di assistenza infermieristica H24, supporto giornaliero di personale medico e garanzia di supporto di ossigeno, se necessario”.
Se la struttura non può separare aree e percorsi Covid e non Covid, “sarà sottoposta a quarantena, con attivazione di idonea sorveglianza sanitaria in stretta collaborazione con la Asl territorialmente competente”.
La stessa ordinanza disciplina le modalità di continuazione del lavoro del personale nelle strutture e le modalità di effettuazione dei test se si manifestino positività, nonché le condizioni di accesso alle strutture dei componenti dell’Usca (Unità speciale di continuità assistenziale) e dei medici di medicina generale.
Infine, regolamenta i casi di nuovi ingressi in Rsa per i quali, oltre all’ordinario accertamento dello stato di salute dell’ospite, è obbligatorio effettuare il tampone.
È difficile condividere le buone pratiche in un momento di emergenza. Sarebbe comunque utile definire un quadro d’insieme organico a livello regionale. Questo per garantire parità di trattamento e diritto alla cura a tutti gli anziani ricoverati nelle residenze in tutta Italia.
© Riproduzione riservata