È stato il cattivo più cattivo della Tv, il tesoriere della mafia Tano Cariddi nella serie La Piovra, esportata in oltre 100 Paesi. Ma era già un famoso attore di teatro, cinema e televisione. E lo è diventato ancora di più in seguito, interpretando personaggi come Ponzio Pilato, Enzo Ferrari e Papa Pio XII.
Verrebbe da dire innanzitutto. Innanzitutto anche rispetto alla carriera tuttora molto attiva, perché Remo Girone, il grande attore di teatro, cinema e televisione, è uno dei più assidui testimonial dell’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro. È proprio in questa veste che abbiamo voluto intervistarlo, nonostante siano in uscita due nuovi film, Il diritto alla felicità e Fra due battiti, di cui Girone è il protagonista, e l’atteso Walking to Paris di Peter Greenaway.
«Mi è sembrato giusto partecipare non appena l’AIRC mi ha contattato. Io ho avuto un tumore alla vescica trent’anni fa, e il professor Pagano di Padova, che mi ha operato, mi ha raccomandato di parlarne, perché le tracce di sangue nell’urina sono quasi sempre per l’uomo indicazione di un carcinoma, mentre per la donna possono essere causate anche da una semplice cistite. Pagano, quando non volevo sottopormi alla chemioterapia, mi disse: “Per non fare poche sedute, vuoi rovinare il mio lavoro di sette ore consecutive in sala operatoria?”. Per fortuna, l’ho fatta. E allora erano molto più dure di oggi. Un consiglio che posso dare è quello di cercare dei bravi medici, come è stato nel mio caso. Rivolgetevi, se potete, ai migliori specialisti che ci sono per quella specifica operazione (sono tutte diverse) oppure a qualcuno dei loro allievi. A luminari che abbiano operato più volte perché, come per gli attori che possono essere validi al primo personaggio e diventano veramente bravi solo quando ne hanno affrontati almeno cinquanta, così è per i medici. E poi non bisogna perdersi d’animo, perché la volontà del paziente di uscirne conta».
Ci parli di come funziona la memoria di un attore, chiamato ogni stagione a imparare pagine e pagine di copioni…
La memoria è diversa per tutti. Io ho una memoria soprattutto visiva, mi ricordo la pagina dove sono scritte le battute. Inoltre l’attore è fortunato perché ha una memoria legata al movimento. Ricordando i movimenti so che al punto in cui mi siedo dico quella cosa, se faccio un’azione quella mi collega alla battuta, prima di uscire di scena ne dico un’altra. La mia tecnica mnemonica è legata alle azioni fisiche ed è anche molto visiva, tanto che nella vita mi è molto difficile ricordare i nomi delle persone, e anche altri particolari.
C’è un personaggio che né lei né il pubblico dimenticherà mai, il cattivo per eccellenza Tano Cariddi…
Dopo la messa in onda della terza serie de La Piovra, la prima in cui appare Tano, mi recai da un elettrauto. E lui mi fece notare una battuta che dicevo, riferendomi all’anziano banchiere di cui ero l’assistente: «Perché stai sempre con lui?», mi
chiedeva Giuliana De Sio. «Per imparare», rispondevo. L’elettrauto mi disse: «Quella è una grande battuta. Oggi nessuno ha più voglia di fare fatica per imparare!».
In fondo era un personaggio, pur nella sua negatività totale, con molte ambiguità…
Sì, perché agisce con la stessa determinazione e gli stessi “ideali” che dovrebbero spingere tutte le persone verso il bene: imparare sempre da chi sa di più e ricercare ogni volta nuove prospettive. Tutti si aspettavano da lui che, prima o poi, avesse delle fragilità, e questo lo rendeva interessante pur nella sua totale malvagità. Era anche la prima volta che in Tv veniva rappresentata la mafia dei colletti bianchi, che è una delle ragioni del successo clamoroso de La Piovra. Oggi, invece, Gomorra è differente, vuole dimostrare come la vita legata al crimine, di quella società a parte all’interno della nostra, sia una vita orribile. Il non proporre personaggi positivi oppure le stesse forze dell’ordine è fatto, secondo me, in questa ottica: mostrare come il vivere da delinquenti sia del tutto non attraente.
C’è un ruolo che ricorda come il più piacevole interpretato?
No, perché qualsiasi cosa faccia ho sempre dei dubbi. Anche per questo mi fido di chi lavora con me. Non vado a discutere con i registi: se dicono che la scena va bene, per me va bene. Il personaggio che ho impersonato più a lungo nel tempo, anche se facevo 25 pose ogni serie, è stato Tano. Ricordo molto volentieri anche il ruolo di Raskolnikov, in Delitto e castigo di Dostoevskij diretto da Jurij Ljubimov, un regista russo. Era subito prima de La Piovra. È un personaggio che vuole stare al di sopra della morale comune; mi è servito per fare Tano. Posso dirle che mi piacerebbe fare un Re Lear. Nel 2017 ho girato con Peter Greenaway Walking to Paris, dove interpretavo il figlio del grande scultore rumeno Constantin Brancusi che, ai giorni nostri, ricorda cosa gli raccontò suo padre del viaggio che fece a piedi da Bucarest a Parigi nel 1903. Non è ancora uscito, non si sa perché, però alla fine delle riprese Greenaway mi propose di mettere in scena un Re Lear insieme in inglese, dovetti rinunciare. Benché io reciti anche in inglese, l’accento italiano si sente. Ne La legge della notte con Ben Affleck ero un mafioso italoamericano che combatte contro i gangster irlandesi. Parlando con il collega e avversario gli chiesi: «Ma tu sei irlandese, vero?». «No, no, sono inglese. Ho studiato l’irlandese per questo film». «Ah, ecco. Anch’io ho dovuto studiare l’accento italiano», gli risposi.
Durante la pandemia ha girato Il diritto alla felicità, che mette due generazioni a confronto…
Sono un bibliotecario, un personaggio estremamente positivo che mi è molto piaciuto interpretare. Il film narra il rapporto tra lui e un bambino di colore. A Didie (Didie Lorenz Tchumbu, il giovane co-protagonista al debutto, ndr) ho detto: «Ce l’hai un nonno?». «Sì», ha risposto. «Gli vuoi bene?». «Certo!». «Pensami come fossi lui e ci troveremo ottimamente a recitare insieme». Nel film il confronto non è facile, ma anche nel quotidiano ci sono barriere. E la tecnologia e i telefonini le aumentano. Non solo tra le generazioni, ma anche tra gli stessi ragazzi, che spesso non si parlano nemmeno quando sono insieme pur di guardare gli schermi dei cellulari.
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