L’IRIB CNR di Messina sperimenta un modello di assistenza gratuita per le famiglie con bambini affetti da spettro autistico, con teleabilitazione per i genitori
La realtà virtuale vista come una palestra per allenare i comportamenti, grazie ad avatar digitali pensati ed ideati per bambini autistici. La tecnologia concepita come ponte tra la disabilità e l’autonomia personale e sociale. È un modello virtuoso di assistenza gratuita quello messo in atto nella realtà messinese.
L’istituto IRIB-CNR di Messina, infatti, è all’avanguardia nello sviluppo tecnologico nell’ambito dei sistemi intelligenti per la salute, delle neuroscienze e della neuropsichiatria infantile. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Flavia Marino, psicologa dell’istituto. «Ci occupiamo di medicina traslazionale – spiega -. L’interdisciplinarietà del gruppo di lavoro (ingegneri biomedici, informatici, psicologici e neuropsichiatri) che vi è al suo interno, permette di strutturare nuovi interventi di ricerca in ambito clinico e riabilitativo, fornendo nuovi protocolli di trattamento sperimentale, supportati da tecnologia innovativa, che potrebbe essere traslabile nelle realtà sanitarie».
Dottoressa Marino, il vostro è un approccio sperimentale che raccoglie una delle sfide di questo secolo: usare la tecnologia per colmare molti gap scaturiti dalla disabilità. È davvero possibile tutto ciò?
La tecnologia a supporto della disabilità permette non solo di colmare gap ma anche di abilitare la persona che potrebbe persino non aver bisogno del sostegno per tutto il corso della sua esistenza. In alcuni casi, infatti, la tecnologia è solo un ponte tra la disabilità e l’autonomia personale e sociale.
Il vostro istituto porta avanti da tempo proposte di intervento rivolte a gruppi di bambini con il disturbo dello spettro autistico. Di che tipo di progetti si tratta?
Si tratta di progetti, come per esempio InterPares, finanziato con fondi Poc Metro dal comune di Messina, che accompagnano le persone con questa condizione nello sviluppo di abilità sempre più complesse, fino ad arrivare all’inclusione lavorativa. Il supporto tecnologico alla base di questo e di tutti gli altri progetti permette l’analisi dell’evoluzione dell’apprendimento di ogni partecipante agli studi, la rilevazione di parametri fisiologici per comprendere quanto le attività hanno un impatto sulla persona e si dimostra efficace nella mediazione tra uomo e macchina.
Invece, il progetto Prima Pietra, nel 2013, cosa ha dimostrato?
Il progetto “Prima Pietra” ha visto una collaborazione fattiva tra il nostro istituto, a quell’epoca di Fisiologia Clinica, e il Policlinico di Messina. Si è trattato dell’applicazione di un modello di intervento evolutivo comportamentale, ESDM Early Start Denver Model, coordinato dalla ricercatrice Liliana Ruta, attualmente tra le poche trainer italiane certificate. Il modello, ideato dalla dottoressa Sally Rogers del Mind Institute di Sacramento, prevede un trattamento precoce sui bambini, dai primissimi mesi di età fino ai quattro anni, a rischio di autismo. Tale approccio, che rispetta la fascia evolutiva precocissima dell’infanzia, permetterebbe la modifica di importanti traiettorie di sviluppo del disturbo, riducendone il rischio.
Quali risultati sono emersi?
I nostri lavori hanno prodotto dei risultati significativi che negli anni hanno visto la pubblicazione di articoli su riviste internazionali ad alto impatto scientifico. Abbiamo dimostrato, ampiamente, come le adeguate strategie di intervento sull’autismo, coadiuvate dalla tecnologia di avanguardia, possono risultare maggiormente efficaci nel trattamento di tale condizione. Negli ultimi anni, abbiamo prodotto diversi lavori che evidenziano come i robot umanoidi, per esempio, se opportunamente programmati, possono risultare una grande risorsa per gli interventi abilitativi per i bambini e i ragazzi con autismo, fungendo da adeguati mediatori sociali e da grandi motivatori.
Cosa significa essere genitori di un bambino affetto da autismo?
Essere genitori di una persona con autismo significa fare un viaggio che non sempre ha la rotta che ci si aspetta. È una grande sfida fatta di comportamenti difficili da gestire nella quotidianità e di una società che non è ancora adeguatamente consapevole di cosa sia l’autismo. Negli ultimi anni, sono cresciuti gli ambiti di supporto alle famiglie e si sono create attività di sostegno per queste.
Nel vostro istituto avete attivato percorsi di consapevolezza sull’autismo rivolto alle famiglie. In cosa consistono?
Oltre ad aver fornito una panoramica sul disturbo e la sua manifestazione, sono state avviate attività in teleabilitazione per accompagnare i genitori anche nelle condizioni quotidiane di vita familiare. La condizione autistica, mettendo a dura prova tutto il sistema familiare, spesso produce effetti devastanti, anche a livello psicologico, sui genitori; è per questo che stiamo portando avanti una sperimentazione su un gruppo di mamme e papà che prevede la visione di scenari, in realtà virtuale, per favorire un incremento di benessere psicologico ed emotivo.
Il metaverso apre diversi interrogativi dal punto di vista delle dinamiche relazionali. Molti lamentano che un eccessivo “rifugio” nel virtuale porti a perdere il contatto con la realtà. Perché, secondo lei, fa così paura?
Il metaverso, come tutte le cose che non sono ancora del tutto definite, è fonte di interrogativi. Si tratta, di certo, di una tecnologia dalle mille sfaccettature che ha bisogno di essere messa a punto in modo da poter garantire il giusto utilizzo e, soprattutto, un chiaro obiettivo nei diversi campi in cui potrà essere applicata, da quello del gioco a quello più ambizioso, della clinica.
La diffidenza e la paura verso la realtà virtuale sono aumentate a seguito degli anni della pandemia?
La pandemia ha fatto emergere tante fragilità umane che fino ad allora erano state “camuffate”. Trovo che la solitudine forzata di quel periodo storico abbia rinforzato, in modo importante, l’utilizzo di strumenti che potessero arginare le sensazioni di angoscia e poca aderenza alla società.
E come può, la realtà virtuale essere usata a sostegno di soggetti già fragili dal punto di vista delle relazioni? Non rischia di essere un boomerang?
La realtà virtuale, applicata soprattutto in condizioni di maggiore fragilità, ha bisogno di essere pianificata in modo strutturato e tenendo presente quali possano essere i rischi ma anche i benefici. La realtà virtuale dovrebbe rappresentare, in questi casi, una versione più “protetta” della realtà e questo potrebbe garantire un maggiore apprendimento di competenze che andrebbero poi generalizzate in contesti più ampi di vita quotidiana. La realtà virtuale dovrebbe fungere da “palestra per allenare comportamenti”, avendo la possibilità di visionarne i possibili scenari.
Quali sono le nuove frontiere dell’inclusione?
L’inclusione è un qualcosa che ancora non è avvenuto in maniera completa. Secondo me, la nuova frontiera è quella di organizzare ambienti comuni in contesti in cui tutti hanno accesso, grazie al supporto di tecnologie che ne facilitino la comprensione e le dinamiche.
Come si colloca, l’Italia, nel panorama di questo tipo di ricerca? Robotica e realtà virtuale hanno il giusto peso nell’ambiente scientifico o c’è ancora una grande diffidenza?
In questi ultimi anni, i gruppi di ricercatori che si sono interessati alla robotica e alla realtà virtuale, in Italia, sono aumentati in maniera significativa. Non credo ci sia diffidenza ma solo attenzione nel promuovere prodotti che siano scientificamente validi e, soprattutto, utili.
Il vostro modello è ancorato al territorio o c’è la possibilità di espanderlo al di fuori della provincia di Messina, e della regione Sicilia?
I progetti portati avanti dal nostro istituto e promossi fortemente dal responsabile della nostra sede di Messina, il primo ricercatore Giovanni Pioggia, sono già modelli di intervento esportati fuori dalla provincia di Messina. In alcune città siciliane (Trapani, Siracusa e Catania) e oltre lo Stretto, Lecce e Bari esistono già realtà che ripropongono lo stesso nostro modello.
La realtà virtuale a sostegno delle famiglie dei bambini con autismo: realtà o utopia?
È una piccola realtà che già promuove percorsi di cura e supporto per le famiglie.
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