È uno dei dati contenuti nel Rapporto di Save the Children “Le equilibriste: la maternità in Italia 2022” che ci restituisce con un’efficace metafora la situazione precaria di circa 6 milioni di donne, in bilico perenne fra famiglia e lavoro.
Equilibriste, perennemente in bilico sul sottile filo dei carichi familiari e di lavoro. E con una rete di protezione a maglie troppo larghe per essere davvero sicura. Sono circa 6 milioni di mamme italiane, secondo un’efficace metafora adottata nel Rapporto di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022”, giunto alla sua settima edizione. Il Rapporto fotografa la complicata situazione di essere madri in Italia, aggravata dalla pandemia. Inoltre, attraverso l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, identifica le regioni in cui le mamme affrontano maggiori difficoltà.
Mamme sempre più anziane e più “rare”
Sono sempre di meno le donne che in Italia scelgono di diventare madri. Nel 2021, il Paese ha raggiunto l’ennesimo record storico di denatalità: meno di 400mila (399.431) i bambini venuti al mondo. All’appello mancano quasi un terzo delle culle del 2008. Sul gelo demografico influisce certamente la scelta delle donne di fare sempre meno figli (1,25 il numero medio) e di farli sempre più tardi (32,4 anni l’età media al parto). Ma davvero si tratta di una scelta?
Le equilibriste (precarie) del lavoro
Nel primo semestre 2021, solo poco più di 1 lavoratrice ogni 10 occupati ha sottoscritto un contratto a tempo indeterminato, per una percentuale complessiva del 14,5% delle donne assunte nel periodo, ovvero 1,3 milioni. La maggior parte (38,1%) è a tempo determinato; seguono il lavoro stagionale (17,7%) e la somministrazione (15,3%). Per contro, sono quasi il doppio – oltre 2 milioni – i contratti attivati per gli uomini; quasi la metà (il 44,4%) è a tempo determinato, poi segue l’indeterminato (il 18%).
Secondo Save the Children, quasi la metà delle donne fra i 25 e i 54 anni non è occupata (42,6%). Una situazione che per gli uomini si verifica il 30% delle volte in meno. Esistono inoltre profonde differenze territoriali: la percentuale di disoccupazione femminile raggiunge il picco del 62,6% nel Mezzogiorno, seguito dal 35,8% al Centro e dal 29,8% al Nord.
Non è illogico pensare che la disoccupazione dipenda dai carichi familiari visto che, mentre il tasso di occupazione dei padri tende a crescere all’aumentare del numero di figli minorenni presenti nel nucleo, quello delle madri tende a diminuire. Infatti, solo il 61% di madri con un figlio minorenne è occupata (3 donne su 5), mentre gli uomini nella stessa condizione sono l’88,6%. Il divario aumenta quando entrambi i generi hanno due o più figli minorenni (le donne occupate sono il 54,5% a fronte dell’89,1% degli uomini). Ancora, il 39,2% delle donne con 2 o più figli riesce a mantenere l’occupazione solo part-time.
Dopo la pandemia siamo in piena “mom-cession“: la recessione delle mamme
In un solo anno, il 2020, sono state più di 30mila le madri che hanno rassegnato le dimissioni, ovvero il 77,2% del totale. Sono stati invece 42.377 i casi di convalida delle dimissioni di madri e padri di bambini di età inferiore ai 3 anni da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Lo prevede la legge per evitare il fenomeno delle dimissioni “forzate” da parte del datore di lavoro di fronte alla maternità o paternità dei dipendenti. Anche in questo caso, il 77,4% delle convalide ha riguardato le donne. Probabilmente, il tentativo di garantire che le dimissioni delle mamme siano volontarie è fallito visto che “sul totale delle motivazioni indicate nelle convalide, quella più frequentemente segnalata continua ad essere la difficoltà di conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli”.
Per Save the Children, se la recessione post-pandemia è stata definita “she-cession” poiché ha colpito soprattutto le donne, “i dati ci dimostrano che è ancor di più una “mom-cession” ” perchè sono le mamme ad essere le più vulnerabili.
Carenze nei servizi e gap salariale i motivi che costringono a lasciare il lavoro
Spesso la decisione di rinunciare al lavoro è dovuta a motivi familiari e al mancato supporto da parte dei servizi pubblici, carenti o troppo costosi. Un caso emblematico, quello degli asili nido: nell’anno educativo 2019-2020 solo il 14,7% del totale dei bambini 0-2 anni ha avuto accesso al servizio finanziato dai Comuni. Nonostante ciò, il Ministero dell’Istruzione, in accordo con i Ministri per il Sud e per le Pari Opportunità e la Famiglia, ha dovuto prorogare di un mese il bando per finanziare gli asili nido previsto nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dopo la scarsa adesione degli enti locali. Alla fine, le domande pervenute sono arrivate a coprire 2 dei 2,4 miliardi di euro, stanziati soprattutto per il Mezzogiorno.
Ma non è solo la carenza di servizi a costringere le donne a lasciare il lavoro. Il Rapporto di Save the Children conferma infatti che le donne sono vittime di una discriminazione economica crescente nel tempo. É la “motherhood penalty” (o “child penalty gap”): essere mamme, in Italia, è una penalità. Se il reddito medio lordo mensile per i giovani diplomati ammonta a 557 euro, quello delle ragazze a 415. Nell’anno successivo sale a 921 euro per gli uomini, mentre per le donne è di soli 716 euro. Alle soglie dei 30 anni, i salari maschili continuano a crescere, quelli delle donne no. “Facilmente comprensibile – evidenzia l’organizzazione non governativa – come il reddito della donna all’interno di una famiglia – essendo il più basso – sia sacrificabile, generando un circolo vizioso che favorisce l’esclusione femminile dal mercato del lavoro”.
L’Indice delle Madri 2022: le Regioni del Nord più amiche delle mamme
Secondo l’Indice delle Madri 2022, le regioni del Nord si confermano quelle più amiche delle mamme per la distribuzione fra i partner del lavoro di cura, i servizi per l’infanzia e la famiglia, la tutela del lavoro femminile. In testa alla classifica, le province autonome di Bolzano e Trento; seguono l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia, la Toscana e la Valle d’Aosta. All’opposto, le regioni del Mezzogiorno, con il Lazio, si posizionano tutte al di sotto della media nazionale. Calabria e Campania sono i fanalini di coda.
Verso il 2030: le politiche per la famiglia in Italia
La parità di genere è uno degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Per centrare questo obiettivo “occorre incentivare il ruolo degli uomini nel lavoro di cura, anche introducendo un congedo di paternità obbligatorio significativamente più lungo dei dieci giorni previsti dalla legge di bilancio 2022 e dai provvedimenti collegati” osserva Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children. Le riforme in atto, come il Family Act o la legge sulla parità salariale, sono passi avanti, ma occorre completare il quadro con investimenti consistenti.
“E’ necessario poi che i decreti attuativi del Family Act, scongiurino il rischio che tutto si risolva in misure transitorie o che non affrontano il problema in maniera strutturale senza il necessario rafforzamento dei servizi extrascolastici e di sostegno alla genitorialità” ha sottolineato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
A che punto siamo?
- A marzo scorso è partita la rivoluzione dell’Assegno Unico Universale previsto dal Family Act. Un sostegno economico a tutti i bambini e adolescenti, indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori, che assorbe la gran parte dei sussidi e bonus preesistenti; oltre a correggere la scala di equivalenza del Reddito di Cittadinanza, poco attenta ai figli minori e alla numerosità della famiglia.
- Dopo la sperimentazione, sono stati stabilizzati anche i nuovi congedi di paternità. Sono quello obbligatorio di 10 giorni e quello facoltativo (alternativo al congedo di maternità della madre) di 1 giorno, previsti dalla Legge di Bilancio 2022. La stessa Legge ha introdotto per il solo 2022 una riduzione del 50% dei contributi a carico delle lavoratrici dipendenti che rientrano dalla maternità. Per le lavoratrici autonome, iscritte alla Gestione Separata, imprenditrici agricole e libere professioniste con i redditi più bassi tre mesi in più di indennità di maternità.
- Il Consiglio dei Ministri ha poi approvato il c.d. schema di Decreto legislativo per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che recepisce la Direttiva UE 2019/1158 del giugno 2019.
- Per contrastare il c.d. del “gender pay gap”, ovvero la discriminazione salariale, la Legge n. 162/2021 ha istituito una certificazione che apre la via ad alcune forme di premialità per le imprese che sostengono la parità salariale.
- Importante per i genitori lavoratori anche il welfare aziendale, che si sta diffondendo anche fra le piccole e medie imprese. Secondo il Rapporto Welfare Index PMI, dal 2016 al 2021 le PMI con un livello di welfare elevato sono più che raddoppiate in tutta Italia, passando dal 9,7% nel 2016 all’attuale 21%. In particolare, il 49,2% delle imprese analizzate ha un livello almeno medio nell’area conciliazione vita-lavoro; quelle con un livello alto o molto alto sono il 26,6%. Le misure più diffuse sono la flessibilità oraria aggiuntiva a quella contrattuale (37,1%); il sostegno alla genitorialità attraverso la concessione di permessi aggiuntivi (17,8%); l’integrazione completa del congedo (15,9%).
(La foto di copertina viene da qui).
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