Secondo un’indagine di Oxfam – confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si impegnano nella riduzione della povertà globale – è cresciuto drasticamente il divario tra i pochi super ricchi e i molti (sempre) più poveri. E l’Italia non fa eccezione.
I numeri presentati dalla ong britannica Oxfam, in occasione dell’apertura del World Economic Forum di Davos (15–19 gennaio), mostrano una globalizzazione del divario economico e sociale, accompagnata ad una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi fortunati super paperoni. Ma se la ricchezza complessiva delle cinque persone più ricche della Terra è raddoppiata negli ultimi anni, per la maggior parte delle persone un mondo senza povertà sta diventando sempre più un’utopia che una legittima aspirazione realistica. Mentre si accentua il divario tra il Nord (dove si concentrano i miliardari più ricchi con il 69% della ricchezza globale) e il Sud del pianeta.
I numeri della diseguaglianza
Dal 2020 le fortune dei cinque uomini più ricchi del mondo si sono più che raddoppiate, mentre quasi cinque miliardi di persone hanno visto diminuire la propria ricchezza. La spaccatura è anche di genere. A livello globale, gli uomini possiedono 105.000 miliardi di dollari in più di ricchezza rispetto alle donne. Ci vorranno 1.200 anni affinché una lavoratrice nel settore sanitario e sociale possa guadagnare quanto un amministratore delegato nelle più grandi aziende. Solo lo 0,4% delle oltre 1.600 aziende più grandi e influenti del mondo si impegna pubblicamente a pagare ai loro lavoratori un salario dignitoso. Nel 2022, circa mille miliardi di dollari di profitti sono stati trasferiti verso paradisi fiscali, pari al 35% degli utili aziendali ottenuti all’estero. Per Oxfam, l’estrema concentrazione del potere economico e le rendite di posizione favoriscono l’accumulazione di enormi fortune per pochi.
Un mondo meraviglioso (ma non per tutti)
La ricchezza dei miliardari è aumentata di tremila miliardi di euro (34%) dall’inizio di questo decennio; una fortuna che cresce a un ritmo tre volte più veloce del tasso di inflazione. D’altro canto, l’aumento dei prezzi ha fatto sì che gli stipendi di quasi 800 milioni di persone in 52 Paesi non abbiano retto all’inflazione. Le aziende guadagnano sempre di più, il che sarebbe una buona notizia. L’analisi delle più grandi aziende del mondo (compagnie petrolifere, settore del lusso e finanziario) conferma un aumento dell’89% degli utili negli anni 2021 e 2022 rispetto alla media del periodo 2017-2020. Per ogni 100 dollari di profitto generati da 96 tra le imprese più grandi al mondo 82 vanno come dividendi agli azionisti. Per quasi 800 milioni di lavoratori di 52 Paesi i salari non hanno retto all’inflazione, subendo un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022.
Paperoni d’Italia
Il quadro di Oxfam riguarda anche l’Italia, dove dal 2020 al 2023 il numero dei miliardari è passato da 36 a 63 e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%). Nel 2023 è anche cresciuto il numero dei multimilionari italiani, titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari. L’inversione delle fortune, ossia l’allargamento della forbice tra il 10% più ricco e il 50% più povero dei suoi cittadini, vede crescere del 3,8% la quota in mano ai più facoltosi mentre quella degli svantaggiati scende di 4,5 punti.
La perdurante “inversione delle fortune”
Quello della marcata differenza tra le ricchezze di pochissimi e la metà degli italiani, è un fenomeno, iniziato già negli Anni ’90, che non sembra allentarsi nel biennio 2020-2021, con le famiglie più povere incapaci di intercettare la significativa crescita del risparmio registrata durante la pandemia. Quest’ultima poi sembra aver influito pesantemente sulla riduzione dei consumi mentre l’inflazione ha segnato un significativo aumento dell’incidenza della povertà assoluta. La ripresa occupazionale del 2021, concentrata nelle classi più anziane, non è trainata da lavoro stabile, ma fa ricorso a forme di lavoro atipico e povero, rischiando di far crescere la quota dei working poor.
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