Il rapporto Istat sulla qualità di vita dei pensionati italiani è chiaro: avere un nonno o una nonna in casa limita il rischio di povertà.
Al 31 dicembre 2021 i pensionati italiani erano circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne (dati Inps). Ma quali sono le reali condizioni di vita di questa fascia della popolazione che, dopo la vita lavorativa, si appresta ad un terzo tempo sereno e dignitoso? Come sempre ci pensa l’Istat a rispondere e i risultati dell’indagine non sembrano poi essere così sorprendenti.
I pensionati italiani confermano il ruolo di welfare familiare
Il 37,2% dei pensionati vive in coppia senza figli, il 27,7% da solo, ma un titolare di pensione si trova in quasi una famiglia su due. Nel 32,8% dei casi si tratta di un solo titolare di pensione e nel 13,1% di due e più assegni. Per le famiglie con pensionati, i trasferimenti pensionistici rappresentano, in media, il 64% del reddito familiare netto disponibile. Tradotto significa che nel 2020 il rischio di povertà delle famiglie conviventi con almeno un nonno è del 14,6% inferiore a quello delle famiglie senza pensionati. Nel dettaglio: la presenza di un pensionato in nuclei “vulnerabili” (genitori soli o famiglie in altra tipologia) riduce sensibilmente l’esposizione al rischio di povertà rispettivamente dal 31,4% al 15% e dal 33,9% al 12,7%. Ciò conferma l’importante ruolo di protezione economico-sociale delle pensioni in ambito familiare.
A lavoro dopo la pensione
Aumentano i pensionati che continuano a lavorare: quelli che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 444mila, in crescita rispetto al 2020 (+13,3%). L’età media dei pensionati che lavorano supera i 69 anni nel 2021, 3 su 4 di loro sono uomini, vivono al Nord e per l’86,3% dei casi non lavorano da dipendenti. Un trend che merita una riflessione in quanto indicativo. Infatti, da un lato si torna sull’ormai assodato aumento della longevità, mentre dall’altro si nota il bisogno di tornare sul mercato per fronteggiare crisi ed inflazione. L’età media dei pensionati lavoratori peraltro è in progressiva crescita: nel 2021 il 78,6% aveva almeno 65 anni (contro il 77,4% nel 2019) e il 45,4% ne aveva oltre 70 (41,8% nel 2019).
Continua il gender gap pensionistico
Le donne sono la maggioranza tra i titolari di pensioni (55%) ma, in media, l’importo di una pensione di una donna è più basso rispetto a quello di un uomo per lo stesso tipo di emolumento (11mila euro contro 17mila). La disuguaglianza di genere, spiega il Rapporto, è influenzata principalmente dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e spesso da carriere discontinue e quindi da storie contributive più brevi e frammentate, caratterizzate anche da un differenziale retributivo generalmente svantaggioso. Tali differenze si riflettono non solo nella diversa distribuzione delle categorie di pensione tra i due sessi, ma – a parità di prestazione – anche negli importi mediani. L’Italia si allinea al trend comunitario: anche in Europa, infatti, le donne ricevono pensioni in media del 39% più basse di quelle degli uomini.
In crescita la spesa pensionistica
Questo il quadro attuale per sommi capi, ma il sistema pensionistico resta un’incognita per le generazioni future. Primo fra tutti per la questione della sua sostenibilità nel medio periodo. La struttura demografica italiana vede i baby boomers ormai prossimi alla pensione e, di contro, una base contributiva in costante restringimento. A ciò si aggiunge un importante incremento dell’inflazione che potrebbe comportare un ulteriore aumento della spesa pensionistica. Un fenomeno peraltro già in atto, poiché, sottolinea il report, nel 2021 sono state erogate 22,7 milioni di prestazioni del sistema pensionistico a 16 milioni di persone per una spesa di 313 miliardi, ben l’1,7% in più rispetto all’anno precedente.
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