Il 91,7% degli italiani è orgoglioso del servizio sanitario nazionale e ritiene la sanità pubblica un valore, nonostante ne riconosca le criticità
Liste di attesa troppo lunghe, una popolazione che invecchia e necessita di risposte assistenziali adeguate, un ricorso sempre più massiccio al privato, cronicità ed emergenze diffuse, strutture e servizi intasati… Le politiche di contenimento della spesa sanitaria hanno spostato i costi di una parte delle prestazioni dal bilancio pubblico a quello delle famiglie. Si è creato così il presupposto di una sanità percepita dagli italiani in modo diverso, come emerge anche da un’indagine condotta dal Censis e dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo).
I dati del Rapporto Fnomceo-Censis – Il necessario cambio di paradigma nel Servizio sanitario: stop all’aziendalizzazione e ritorno del primato della salute – hanno fotografato la percezione dei cittadini sulla necessità di rilanciare un sistema depotenziato a causa di risorse pubbliche insufficienti rispetto ai nuovi fabbisogni sanitari. L’83,6% degli intervistati, infatti, si aspettava più investimenti dopo la pandemia, e continua a mettere al primo posto la salute fra i comparti che necessitano di una spesa pubblica cospicua, seguita a distanza dal sistema scolastico e universitario, dalle infrastrutture per la mobilità e la logistica e dal sistema previdenziale.
I numeri dei medici
La centralità della figura del medico di base per gli italiani è imprescindibile, ma i numeri dicono che in Italia cresce il numero di lavoratori a tempo determinato e interinali: tra il 2012 e il 2022 le unità annue di lavoro sono state oltre 15.300 in più.
La spesa per il lavoro a tempo determinato, le consulenze, le collaborazioni e altre prestazioni sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata di 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del 66,4% rispetto a dieci anni prima.
La spesa per il personale permanente è invece aumentata del 6,4%
Il Censis ci dice che in Italia non c’è una vera carenza di medici, perché la percentuale in relazione alla popolazione è di 410 ogni 100mila abitanti, contro i 318 della Francia e i 390 dei Paesi Bassi. Il problema sono le condizioni di lavoro nel pubblico, che risultano non più attraenti.
Le differenze territoriali e il sovraffollamento
I dati regionali mostrano tagli di personale medico permanente soprattutto nelle regioni del Sud: in testa c’è il Molise, con il 21,1%, seguito dalla Basilicata con il 19,6% e la Sardegna con il 3,2%. Le eccezioni sono rappresentate dalla Puglia, dove le assunzioni sono cresciute del 2,6% e dall’Abruzzo (0,7%).
Dalle risposte all’indagine, l’84,5% degli italiani è convinto che i contratti temporanei e quindi intermittenti per i medici indeboliscano la sanità, e l’87,2% pensa che sia prioritario migliorare le condizioni di lavoro e retribuzioni dei medici, perché li considera una risorsa fondamentale per la salute. Il 92,5% ritiene che bisogna procedere all’assunzione di medici e infermieri nel Servizio Sanitario Nazionale, altrimenti le liste di attesa non saranno mai accorciate, e l’85% considera importante trattenere i medici dalla “fuga” all’estero prima di valutare l’assunzione di professionisti che arrivano da altri Paesi.
Il 44,5% degli italiani, negli ultimi 24 mesi, ha sperimentato inoltre situazioni di sovraffollamento in reparti ospedalieri e strutture sanitarie. Un dato trasversale da Nord a Sud.
Logiche aziendalistiche
Il costituirsi di un mercato di scambio di prestazioni medico-sanitarie alimentato dalla domanda che proviene dal servizio sanitario pubblico, ha generato da un lato nuove opportunità per gli operatori del settore, che sono alternative al lavoro permanente nel pubblico, dall’altro ha portato le strutture pubbliche a ricorrere alla fornitura di servizi esterni, con un conseguente aumento dei costi.
Per questo, come evidenziano anche i risultati dell’indagine, è prioritario rimettere il fattore umano al centro dei processi di modernizzazione della sanità, per rendere nuovamente competitivo il lavoro stabile nelle strutture pubbliche. Altrimenti l’attività libero-professionale finirà per svuotarle.
L’84,5% degli italiani è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei intermittenti indebolisca la sanità, e l’opinione è condivisa indipendentemente dai gruppi sociali e dalle macroaree territoriali. A confermarlo, c’è anche il consenso rispetto a un eventuale miglioramento delle condizioni di lavoro dei medici: l’87,2% del campione lo ritiene necessario.
Il fattore umano
Per il 95% degli intervistati il fattore umano resta decisivo nella sanità, e anche se le tecnologie sono importanti non possono assolutamente sostituire il rapporto umano con medici e operatori sanitari, un pensiero condiviso dall’89,5% delle persone con un basso titolo di studio, dal 90,9% dei diplomati e dall’89,1% dei laureati.
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