Nel Rapporto annuale 2021 l’Istat fotografa un Paese fortemente segnato e profondamente cambiato dalla pandemia. Mentre l’economia e il lavoro mostrano i primi timidi segnali di ripresa, le famiglie italiane devono fare i conti con una realtà socio-demografica e con stili di vita molto diversi da quelli di un anno fa.
Oltre 2 milioni di famiglie e più di 5 milioni di persone dopo la pandemia vivono in povertà assoluta. È questo il dato più significativo della condizione economica delle famiglie italiane a metà del 2021, fotografata dal Rapporto annuale 2021 dell’Istat, presentato lo scorso 9 luglio. L’Italia è ancora alle prese con le conseguenze dell’emergenza sanitaria, ma inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Tuttavia, le famiglie italiane si trovano a fare i conti con una realtà molto diversa rispetto a quella di un anno fa. Con un nuovo minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia e un massimo di decessi dal secondo dopoguerra, la struttura demografica del Paese è profondamente cambiata. Ma anche gli stili di vita non sono più gli stessi.
L’economia vede la luce in fondo al tunnel
L’economia italiana comincia a vedere la luce in fondo al tunnel. L’Istat, infatti, dopo il crollo dello scorso anno (-8,9%), prevede che il Pil italiano crescerà del 4,7% nel 2021. Ma, a fronte di molti comparti in cui l’attività ha pienamente recuperato, altri, in particolare alberghi e negozi, continuano a restare lontano dai risultati pre-crisi. Il crollo del turismo estero – si legge nel Rapporto annuale Istat – ha determinato una caduta di circa il 60% della spesa per consumi dei non residenti.
Eppur si muove: la timida ripresa del lavoro
Anche il lavoro continua a subire gli effetti della crisi, che ha colpito prima i dipendenti a termine e gli autonomi, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato. A maggio 2021 ci sono 735mila posti di lavoro in meno rispetto a prima dell’emergenza. Rispetto ai mesi scorsi, in cui chiusure e limitazioni agli spostamenti avevano scoraggiato la ricerca di lavoro – spiega l’Istat – ora però si torna timidamente a cercare occupazione. Il tasso di occupazione 15-64 anni, sceso di 1,7 punti percentuali tra febbraio e aprile 2020 (al 57%), ha raggiunto il minimo a gennaio 2021 (56,5%) per poi risalire fino al 57,2% a maggio.
Le famiglie italiane impoverite
Fra i dati più significativi del Rapporto annuale Istat, quelli sulla povertà, che confermano le stime preliminari dell’Istituto. Oltre 2 milioni di famiglie e più di 5 milioni di persone dopo la pandemia vivono in povertà assoluta. Le famiglie povere sono il 7,7% della popolazione italiana, a fronte del 6,4% registrato nel 2019, gli individui 5,6 milioni, pari al 9,4% dal 7,7%. Peggiora di più il Nord che il Centro e il Mezzogiorno. Al Sud vi è ancora però l’incidenza familiare più elevata della povertà (9,4%), nel Centro la più bassa (5,4%).
Più colpite dalla crisi le famiglie dove la persona di riferimento lavora rispetto a quelle in cui è invece in pensione. La povertà colpisce inoltre di più le famiglie di stranieri (26,7% contro il 6,0% tra le famiglie di soli italiani) e le più numerose (20,5% per quelle con cinque e più componenti e 5,7% per quelle di uno o due componenti).
Basta spese superflue, è l’ora del risparmio
Il reddito delle famiglie italiane torna ai livelli del 2018. Con un calo del 2,8% nel 2020, le risorse a disposizione delle famiglie si assottigliano di 32 miliardi di euro. E l’effetto sulle spese si allarga, con un calo dei consumi del 10,9%, mai così ampio dal dopoguerra. In particolare, il reddito primario delle famiglie è sceso di 92,8 miliardi di euro (-7,3%). La caduta è stata compensata per due terzi dai massicci interventi pubblici di redistribuzione delle risorse, che hanno sostenuto il potere d’acquisto delle famiglie. Così, a fronte della discesa molto più ampia della spesa, la propensione al risparmio è salita dall’8,1 al 15,8%.
Ogni famiglia italiana in media ha speso al mese 2.328 euro in consumi, con un calo del 9 % rispetto al 2019. Si ritorna così al livello del 2000. La riduzione delle spese è stata più intensa nel Nord Italia (-10,2% nel Nord-ovest e -9,5% nel Nord-est), seguito dal Centro (-8,8%) e dal Mezzogiorno (-8,2% nella penisola e -5,9% nelle isole). Restano sostanzialmente invariate la spesa per alimentari e abitazione, difficilmente comprimibili e solo marginalmente toccate dalle restrizioni agli acquisti. Mentre crollano del 38,9% le spese per servizi ricettivi e di ristorazione, del 26,4% quelle per spettacoli e cultura, del 24,6% i trasporti e del 23,3% quelle in abbigliamento e calzature (-23,3%).
L’età e le reti informali: protezione dalla crisi
Gli italiani avvertono che le condizioni economiche della propria famiglia sono peggiorate nel 20,5% dei casi. Ma l’età esercita un effetto protettivo: il 12% di chi ha 65 anni e più lamenta un peggioramento a fronte del 26,3% dei 35-54enni. Più di una persona su cinque (22,2%) ha avuto difficoltà nel fronteggiare impegni economici; la quota è più alta nel Mezzogiorno (30,7%) rispetto al Nord (18,4%) e al Centro (17%).
Come nella prima ondata epidemica, la rete informale di aiuto ha continuato a svolgere un ruolo di sostegno importante. Oltre 9 persone su 10 possono contare sull’aiuto di qualcuno che sia un parente, un amico o un vicino in caso di necessità. Ma il 14,9% esprime paura nel dire o fare qualcosa quando si trova in famiglia.
Durante la seconda ondata epidemica, il 12% dei cittadini (o un membro della loro famiglia) ha dovuto fronteggiare criticità tali da dover ricorrere ad aiuti economici, pubblici o privati, o alla vendita di beni di proprietà. Ma si guarda con speranza al ritorno alla normalità: il 31,5% dei maggiorenni (a fronte del 16,7% di aprile 2020) ha lavorato mentre il 58,3% ha effettuato uno spostamento per qualsiasi motivo (28% ad aprile 2020). Cresce inoltre la quota di persone che non rilevano cambiamenti nel tempo dedicato ai diversi tipi di attività giornaliere rispetto al periodo precedente la pandemia.
Il Covid prima causa di morte fra gli over 80
Nei due mesi di inizio della pandemia il Covid-19 è la seconda causa di morte fino a 79 anni dopo i tumori, sia negli uomini che nelle donne. Tra gli ultraottantenni, invece, rappresenta la prima causa di decesso, con 8.482 casi tra i maschi e 8.737 tra le femmine. Il picco di mortalità osservato a marzo e aprile 2020 ha raggiunto l’intensità massima delle RSA. Rispetto alla media del quinquennio 2015-2019, infatti, nelle strutture residenziali e socio-assistenziali la mortalità è aumentata addirittura del 153%. Fra gli altri effetti della pandemia sul sistema sanitario, la diminuzione del 20,3% delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate nel 2020, mentre le visite specialistiche si sono ridotte di quasi un terzo, con contrazioni in tutte le regioni mai inferiori al 20%.
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