Rainalda Torresini. Professoressa di matematica, ora in pensione. Lettrice ad alta voce e attrice, scrive storie autobiografiche e di fantasia, racconti gialli. Partecipa da diversi anni al Concorso 50&Più dove ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa nel 2016, la Superfarfalla per la prosa nel 2017 e la segnalazione per la prosa.2018; la Farfalla d’oro per la poesia 2019 e la Libellula d’oro per la poesia nel 2022. Vive a Carbonera (Tv).
Caro diario, lo sai che il mondo è lì fuori, e che sono consapevole di non poterci arrivare. Guardo attraverso il riflesso, al di là della finestra, la solita scena mattutina. Tutti escono di fretta, sembrano arrabbiati. I genitori strattonano i bambini da accompagnare a scuola, rimbalzandosi tra marito e moglie il dovere di occuparsi di loro nel pomeriggio. Altri corrono in fretta per andare in ufficio consapevoli del traffico mattutino.
Tutti in movimento tranne me.
Le signore anziane escono presto di casa, soffrono d’insonnia e vanno in giardino a curare i fiori del condominio. I loro mariti fanno capolino molto più tardi, col passo lento dovuto agli acciacchi, escono a comprare il giornale all’edicola all’angolo. Si soffermano poi per una intensa lettura seduti sulle panchine, negando qualsiasi aiuto alle mogli. “In fondo, dobbiamo goderci la pensione!” sostengono a gran voce.
I ragazzi escono sempre tardissimo, inforcano il motorino e facendo un gran baccano partono sgommando. Il ritardo è il nostro pregio, dicono vantandosi alle amiche, quando si ritrovano seduti sul muretto nel pomeriggio. Col cellulare, un corpo unico con loro, si scambiano le ultime novità.
Dopo questo momento frenetico il giardino sembra assonnato, gira solo qualche signora con la borsa della spesa, e due badanti con gli anziani in carrozzella.
Oggi il sole sembra una palla di fuoco, brilla più del solito e illumina il verde degli alberi, tranne una panchina coperta dai rami cadenti del salice. Io riesco a vederla benissimo dalla mia postazione, restando distesa e ferma a testa in su. Non mi posso muovere ma lo specchio mi aiuta. Non essendoci nessuno mi distraggo, e spostandolo guardo da un altro lato.
Due figure si stanno avvicinando. Riesco a malapena a capire che si tratta di due ragazzi, forse studenti. Lui cerca la sua mano. Lei si guarda attorno e la allontana. Avrà paura di farsi vedere, penso, mentre lui insiste e la attira a sé. Lei, questa volta, cede all’invito. Proseguono in simbiosi verso la panchina vuota. Sposto di nuovo lo specchio per guardarli meglio. Dentro di me ho un senso di colpa. Non sono una spiona io, penso. Dovrei lasciar perdere. Chiudo gli occhi per un secondo, non di più. La curiosità ha il sopravvento. “Che faccio di male? -penso- di sicuro non farò la spia con nessuno”.
I due si siedono vicini ma dandosi le spalle. Hanno appoggiato gli zaini in mezzo a loro come per creare una barriera. Lei si guarda ancora attorno, forse teme che arrivi qualcuno che non li deve vedere. Penso a un padre severo, ad una mamma ansiosa.
Lui sembra tranquillo, non mostra di doversi nascondere. Cerca di nuovo la sua mano, strisciando sotto lo zaino, ma lei non vuole.
All’improvviso si alza, qualcuno sta arrivando di corsa col motorino. Un ragazzo, urlando, corre verso la coppia e si avventa contro quello seduto, che preso alla sprovvista non reagisce ai pugni che l’altro gli sferra, e cade a terra sanguinante.
La ragazza grida disperata, cercando aiuto. L’altro la afferra per la mano e la costringe ad allontanarsi da lì. I due urlano parole che non riesco a capire, qui è tutto chiuso.
Lo dico sempre di tenere le finestre aperte, anche se c’è l’aria condizionata. Potrei urlare anch’io, per farmi sentire dai vicini.
Lei grida di nuovo, lo percepisco dalla bocca aperta, e scuote la testa cercando di liberarsi dalla stretta e facendo segno guardando verso le mie finestre di non voler andare via. Con gli occhi cerca l’amico a terra, vorrebbe soccorrerlo, ma l’altro le dà un pugno in faccia e la fa salire davanti a lui sul motorino, e tenendola legata a sé parte in tutta fretta.
Il ragazzo ferito è lì e non si muove…dovrei chiamare il soccorso, ma stamane mia madre ha appoggiato il cellulare lontano, sul tavolo, e non riesco ad afferrarlo. Cerco di urlare con tutta la forza che posso. Qualcuno verrà, penso, ma sembra che ci siano solo fantasmi oggi in questa casa.
Sono impotente, un essere inutile e lui morirà per colpa mia, per una incapace, una misera donna bloccata dentro una macchina infernale, che non è riuscita a soccorrerlo. Sento un dolore sempre più insopportabile prendermi allo stomaco. I ricordi si aggrovigliano come una matassa infeltrita.
Rivedo me stessa nel momento della caduta fatale dalla moto. Vedo il casco di Luca rotolare lontano. Il mio compagno, disteso a terra, un sacco vuoto, immobile. Almeno lui se n’è andato in fretta, penso, non ha sofferto le mie pene. Forse, sono sopravvissuta perché devo pagare per il male che gli ho fatto. Confessare un tradimento mentre si corre in moto può essere poco saggio e molto pericoloso. È giusto che io paghi per le mie colpe.
“Ma lui quel ragazzo, che colpa ne ha?” – mi chiedo – “Non deve morire.”
Cerco di spingermi verso il tavolo ma non ci riesco. Ho un ferro con me, cerco di infilarlo nel gancio del telefono e, con uno sforzo che mi fa grondare di sudore, riesco a farlo. Il cellulare scende lungo il ferro. Finalmente, con le mie mani anchilosate, riesco a comporre il 112 e chiamare i soccorsi.
Sono trascorsi due mesi dal fatto. È piena estate. Anche questa mattina non c’è nessuno in giro. A un tratto mi accorgo di una coppia che si sta sedendo sulla panchina sotto gli alberi. Lui ha le stampelle e le appoggia ai bordi, prende la mano della ragazza e la bacia.
Entrambi sono girati verso la mia finestra. Scuotono le mani in segno di saluto e insieme mandano un bacio soffiando sul palmo.
Io non ho rivelato a nessuno di aver chiamato i carabinieri e loro non mi conoscono. Tirano fuori un grande cartello dallo zaino e lo stendono.
A caratteri cubitali mi appare una scritta: “GRAZIE, CHIUNQUE TU SIA!”.
Lo specchio si offusca davanti a me, mentre scende una lacrima.
Ripenso a Luca e gli mando un bacio.