Meno di 380mila i pensionati con Quota 100 alla fine del triennio di sperimentazione. La Relazione tecnica al decreto legge che ha introdotto la misura (D.L. n. 4/2019) ne stimava oltre 670mila. Secondo i dati raccolti da Inps e Upb sono soprattutto uomini, dipendenti privati, over 63 che abitano al Nord.
Alla fine, sono stati poco meno di 380mila i pensionati con Quota 100. A fare un bilancio della misura, a pochi mesi dalla fine della sperimentazione, sono l’Inps e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) nella Nota di lavoro n.1/2022.
Le domande sono state “ampiamente al di sotto di quelle attese” nella Relazione tecnica del decreto legge n. 4 del 2019, che ha introdotto la misura. Questo nonostante Quota 100 sia “il più rilevante canale di pensionamento alternativo a quelli con i requisiti ordinari” dell’ultimo decennio: aperto a tutti (sono esclusi soltanto i liberi professionisti iscritti a casse di previdenza private; il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico; gli iscritti al Fondo Clero); limitato nel tempo ma non vincolato a finestre temporali chiuse; senza penalizzazioni dell’assegno se non quelle “fisiologiche” dovute alle normali regole di calcolo, che tengono conto dell’età anagrafica; della durata della carriera lavorativa (anzianità contributiva); delle retribuzioni.
Ecco com’è andata.
Accolte 379.860 domande, l’86% di quelle lavorate. Il 39,5% presentate già nel 2019.
Le domande complessivamente pervenute al 31 dicembre 2021 sono state 481.444, di cui 379.860 accolte (78,9%), 38.759 giacenti (8,1%) e 62.825 respinte (13,0%). La quota di domande accolte rispetto al totale delle lavorate è prossima all’86%.
Il 39,5% delle domande accolte ha decorrenza nel 2019; il 30,3% nel 2020; il 28,7% nel 2021 e l’1,4% successivamente al 2021.
Chi ha scelto Quota 100: l’identikit svela la disparità di genere
Uomo, dipendente privato, over 63, residente nel Nord Italia. È l’identikit di chi ha scelto di andare in pensione prima sfruttando Quota 100.
La maggioranza delle domande accolte (circa il 69%) proviene infatti da uomini. A livello di comparto professionale, per il 49,7% da dipendenti privati, per il 31,2% da dipendenti pubblici e per il 19,1% da lavoratori autonomi.
Soprattutto nel 2019 ad andare in pensione prima sono stati dipendenti privati e autonomi. Questo per una concomitanza di fattori, fra cui la maggior presenza di donne nella PA, che generalmente non utilizzano le uscite anticipate, sia per le carriere meno lunghe e discontinue sia per le retribuzioni più basse che disincentivano la scelta di vedersi tagliare l’assegno pensionistico per un’uscita precoce. In più, nelle amministrazioni pubbliche la finestra di pensionamento è di durata doppia (sei mesi anziché tre), cosa che di fatto incrementa i requisiti anagrafico-contributivi. Infine, il lavoro pubblico è in generale meno gravoso rispetto alla media delle occupazioni del comparto privato, il che riduce la propensione a pensionarsi prima.
Ha aderito a Quota 100 soprattutto chi voleva pensionarsi “alla prima occasione utile”
L’età media alla decorrenza si attesta poco al di sopra di 63 anni, passando dai 62,9 anni dei dipendenti privati, ai 63,1 degli autonomi e ai 63,3 dei dipendenti pubblici. L’anzianità media è pari invece a 39,6 anni. Dunque – spiega la Nota Inps-Upb – “la concentrazione delle uscite intorno a 62 anni di età e 38 anni di anzianità mette in luce la tendenza, tra coloro che hanno fatto ricorso a Quota 100, a pensionarsi alla prima occasione utile”. Infatti, l’anticipo rispetto ai requisiti ordinari incide in maniera significativa sul valore dell’assegno. Per i lavoratori autonomi, l’assegno si è mediamente ridotto del 4,5% per anno di anticipo, per i dipendenti privati del 3,8%, per i dipendenti pubblici del 5,2%. Dunque, in media, chi ha scelto Quota 100 è andato in pensione con un anticipo di circa 2,3 anni.
Ancora, la larga maggioranza dei pensionati con Quota 100 lavorava regolarmente prima di accedervi (quasi l’81%). Poco meno del 9% è andato in pensione da silente (pur avendo in passato versato contributi, non lavorava né percepiva altre prestazioni); poco più dell’8% da percettore di prestazioni di sostegno al reddito; circa il 2% da prosecutore volontario di contribuzione.
Lavori gravosi o ristrutturazioni dell’organico hanno spinto all’uscita precoce
I pensionamenti dal comparto privato sono lo 0,4% della relativa base occupazionale all’anno. Al primo posto per settore, con l’1,2% di pensionamenti, c’è il Trasporto e magazzinaggio, seguito da Finanza e assicurazioni (0,6%) e Industria (0,5%). Nel primo e terzo settore hanno certamente inciso sulla scelta la gravosità delle mansioni; nel secondo “potrebbero aver influito i processi di ristrutturazione degli organici in corso già da tempo”, spiega la Nota.
Per quanto riguarda il comparto pubblico, invece, le uscite con Quota 100 sono ammontate ogni anno a circa l’1,3% dell’occupazione pubblica, con picco del 2,9% per le Funzioni centrali.
In valori assoluti, prevale il Nord. In rapporto a occupati e pensionati complessivi, svetta il Sud
La distribuzione geografica dei pensionamenti con Quota 100, in valori assoluti, mostra una relativa concentrazione nel Nord, soprattutto in Lombardia, e nel Lazio. Se invece si fa un confronto con il numero di occupati su base regionale del 2019 o con il complesso delle pensioni anticipate nel triennio 2019-2021, allora Quota 100 mostra un’incidenza significativamente maggiore nel Mezzogiorno, cioè dove i tassi di occupazione sono minori, soprattutto fra giovani e donne. Dunque, l’ipotesi che Quota 100 favorisca il ricambio generazionale è smentita dai dati raccolti da Inps e Upb.
Gli importi confermano la disparità uomo-donna e pubblico-privato
Anche guardando agli importi emerge il gender gap, più ampio nel privato che nel pubblico. In media, gli autonomi ricevono 1.376 euro al mese (1.088 le donne e 1.436 gli uomini); i dipendenti privati 2.088 euro (1.651 le donne e 2.206 gli uomini); i dipendenti pubblici 2.161 euro mensili (2.079 le donne e 2.262 gli uomini).
In termini di importo medio, secondo il monitoraggio di Inps e Upb le pensioni ottenute con Quota 100 sono paragonabili a quelle anticipate e quasi doppie rispetto a quelle di vecchiaia, che vanno da circa 600 euro medi per gli autonomi a circa 1.000 euro per i privati. Il confronto non vale nel pubblico, dove le pensioni di vecchiaia superano i 2.000 euro medi al pari delle altre due modalità di pensionamento.
Il bilancio di Quota 100 smentisce le attese
Come abbiamo anticipato, secondo le stime Inps-Upb i tassi di adesione a Quota 100 si sono quindi rivelati inferiori a quelli ipotizzati, già in modo prudenziale, nella Relazione tecnica del decreto che ha introdotto il canale pensionistico.
La maggior parte degli aventi diritto (39%) ha fatto ricorso a “Quota 100” nello stesso anno in cui ne ha acquisito il diritto (2019). Il tasso di adesione diminuisce sensibilmente negli anni successivi: dal 14% nel 2020 al 4% a due anni di distanza, ossia nel 2021.
Guardiamo alle pensioni decorrenti. In numeri assoluti, sono già andati in pensione con “Quota 100” 150.222 soggetti nel 2019, 115.189 nel 2020 e 109.021 nel 2021, per un totale di 374.432 persone. Nella Relazione tecnica si ipotizzavano invece 317.000 soggetti pensionati nel 2019, 177.000 nel 2020 e 184.000 nel 2021, per un totale di 678.000 pensionati. Circa il 45% in più di quelli effettivi.
La Relazione aveva stimato una spesa complessiva di 18 miliardi e 550 milioni nel triennio di sperimentazione. Alla luce del monitoraggio condotto, nel triennio 2019-2021 sono stati spesi 6,7 miliardi in meno rispetto a quanto indicato nella Relazione tecnica e 2,2 miliardi in meno rispetto a quanto risultante dopo le revisioni della NADEF 2019 e della Legge di Bilancio per il 2020.
Un esperimento utile per il futuro
Nonostante il minor numero di adesione rispetto a quelle stimate, “questo canale di uscita è stato comunque utilizzato da un’ampia platea di lavoratori che a fine 2025 (quando saranno pressoché esauriti i potenziali aderenti) potrebbe anche superare i 450.000 soggetti” si osserva nella Nota di lavoro.
Secondo Inps e Upb, le informazioni disponibili “potrebbero consentire in futuro di stimare in modo più accurato gli impatti sulla finanza pubblica di eventuali nuove misure pensionistiche in chiave di flessibilità con caratteristiche simili a Quota 100 “. “Dato lo stato attuale dei conti pubblici, le risorse economiche sono limitate e quindi occorre riservare molta attenzione al processo di allocazione delle stesse – osservano gli autori del report -, attraverso programmazioni che, da un lato, colgano le reali esigenze dei destinatari delle prestazioni e, dall’altro, assicurino l’equità intergenerazionale e la sostenibilità di medio-lungo termine della finanza pubblica”.
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