Eduardo De Filippo si spegneva il 31 ottobre del 1984 a Roma. È stato uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, figura iconica della cultura italiana. L’omaggio alla sua arte unisce da nord a sud tutto il paese.
La sera del 31 ottobre del 1984, nella clinica Villa Stuart di Roma, si spegne Eduardo De Filippo, genio del teatro italiano e da tre anni senatore a vita della Repubblica. Pochi mesi prima ha interpretato il suo ultimo ruolo – un vecchio maestro nello sceneggiato “Cuore”, che Luigi Comencini ha liberamente tratto dal libro di De Amicis – e soprattutto ha pronunciato un memorabile discorso nel teatro greco di Taormina.
I funerali nella Basilica di San Giovanni in Laterano
Elogiando il figlio Luca (“il più grande sono che la natura mi ha fatto”) ha ricordato il rigore delle sue abitudini (“il teatro si fa nel gelo”), le 55 commedie scritte per via del fatto di essere “un orso” e la passione che gli ha messo il cuore in subbuglio ogni sera, a ogni recita su qualunque palcoscenico. Quel cuore, conclude, “continuerà a battere anche quando si sarà fermato”. Lo ha fatto giusto quarant’anni fa, onorato da funerali solenni nella basilica di San Giovanni in Laterano; eppure, come Eduardo annunciava profeticamente, continua a ritmare il suo battito. Attraverso un’eredità artistica vasta e profonda, attraverso interpretazioni catturate dalla pellicola e consegnate alle generazioni future, attraverso la stessa persona del “maestro”, diventata maschera e simbolo.
Il teatro di Eduardo De Filippo
A quarant’anni dalla morte dell’autore, il teatro di Eduardo resta un formidabile compendio di osservazione e sapienza scenica, capacità di afferrare la realtà e abilità a fissarla in straordinari personaggi da palcoscenico. “Teatro”, diceva lui, “significa vivere in scena sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male”; e ancora: “Con la tecnica non si fa teatro. Si fa teatro se si ha fantasia”. La vitalità del messaggio di Eduardo e della sua arte è testimoniata dagli omaggi e dalle rivisitazioni di cui sono costantemente oggetto, a maggior ragione nella ricorrenza dei quarant’anni dalla morte.
De Filippo secondo Salemme
A dicembre farà tappa a Milano, al teatro Manzoni, il “Natale in casa Cupiello” di Vincenzo Salemme, che vede il ritorno del comico napoletano agli albori della sua carriera, segnata indelebilmente da un’esperienza in compagnia con Eduardo alla fine degli anni Settanta. Sempre in Lombardia, al teatro Donizetti di Bergamo, nel marzo del 2025 concluderà la sua pluriennale tournée “L’arte della commedia”, quasi un testo di meta-teatro, un manifesto in qualche modo politico, scritto da Eduardo nel 1964 e messo in scena da Fausto Russo Alesi.
I testi eduardiani meno noti
Particolarmente interessante è la riscoperta di testi di Eduardo De Filippo meno noti e in genere considerati “minori”. Fino al 2 novembre sarà in replica al teatro Bellini di Napoli “La grande magia”, commedia del 1948 che fustiga il conformismo borghese. Un marito geloso è ingannato da un mago truffaldino che gli fa credere di avere imprigionato la moglie in una scatola per coprirne la fuga con l’amante. Quando dopo anni la moglie si ripresenta al marito, confessando la truffa, questi finge di non riconoscerla e preferisce continuare a crederla imprigionata nella scatola invece di fare i conti con il tradimento. Diretto da Gabriele Russo, l’allestimento del Bellini vede nei panni dei due protagonisti (il mago e il marito tradito) Michele Di Mauro e Natalino Balasso.
Gennariello in scena al San Ferdinando
Infine dal prossimo 20 dicembre fino al 5 gennaio andrà in scena al teatro San Ferdinando, la “casa” napoletana di Eduardo, l’atto unico “Gennariniello”, una commedia del 1932, coeva della prima versione di “Natale in casa Cupiello” (anch’essa atto unico) che alla sorella più celebre ruba pure i nomi di alcuni personaggi (la moglie del protagonista, Concetta, e il figlio Tommasini). Su un terrazzo napoletano l’anziano Gennaro, pensionato col grillo dell’invenzione geniale, risponde alle moine di una giovane dattilografa, un po’ per gioco e un po’ per autentica infatuazione. Originale, malinconico, oppresso dalla grama vita di famiglia, si spinge troppo oltre provocando la reazione rabbiosa della moglie.
Il dualismo caro a Oscar Wilde
L’ennesimo litigio porta l’uomo sul punto di abbandonare la famiglia, ma il sarcasmo di alcuni amici, che sbeffeggiano Gennaro addobbandolo come un giovane gagà e ribattezzandolo “Gennariniello”, spinge la moglie a difenderlo in nome dell’affetto che ancora gli porta. Il ridicolo restaura l’equilibrio: Concetta riscopre l’amore coniugale, Gennaro ritrova raziocinio e gioia di vivere. Imperfetta ma attualissima, la commedia ripropone il dualismo, caro a Oscar Wilde, tra corpo che invecchia e anima che ringiovanisce. L’allestimento di Lino Musella recepisce una caratteristica cruciale dell’arte di Eduardo: trasporre su un piano popolare i travagli profondi dell’umano, e in questo caso il contrasto tra le prescrizioni dell’età e del ruolo sociale e l’eterna fanciullezza del sogno e dell’idea.
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