Dal 1912 al 1948 le Olimpiadi assegnarono medaglie anche nelle discipline artistiche. Il fondatore del Comitato Olimpico, nascosto dietro uno pseudonimo, vinse il concorso letterario della V Olimpiade.
“Come nell’antica Grecia, le nostre Olimpiadi dovranno avere esibizioni atletiche ed esibizioni artistiche in egual misura. È questa la differenza rispetto alle normali competizioni sportive”. L’idea originale del barone francese Pierre De Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne, era molto più “greca” di quella che oggi vediamo realizzata. Il concetto di competizione sportiva era ricompreso in quello più ampio di “cimento”, riguardante l’uomo nella sua totalità: tanto le abilità fisiche quanto le capacità creative (intese come unione dell’intelletto e della creatività).
Sport ma anche arte, le Olimpiadi di De Coubertin
Fin dalla prima edizione del 1896, tenutasi simbolicamente ad Atene, De Coubertin aveva previsto l’attribuzione di medaglie per le competizioni artistiche – la pittura, la scultura, la poesia, la musica e l’architettura – con l’unica condizione che il soggetto delle opere in gara fosse sportivo. Il progetto di De Coubertin poté realizzarsi per la prima volta solo nel 1912, a Stoccolma, quando gli organizzatori riuscirono a raccogliere abbastanza iscritti e giudici per garantire ai concorsi regolarità e rilevanza.
Non era raro che gli stessi atleti gareggiassero, oltre che nelle discipline sportive, in questi singolari cimenti artistici. Alcuni ebbero successo in entrambi i campi: si pensi a Walter Winans, che a Stoccolma vinse la medaglia d’argento nel tiro a segno e quella d’oro in scultura con l’opera “An American trotter” (un cavallo di mezzo metro d’altezza che tira il cocchio di un moderno auriga).
De Coubertin, poeta sotto pseudonimo
La paura di non raggiungere un numero sufficiente di partecipanti (questa almeno la “scusa ufficiale”) spinse lo stesso De Coubertin a iscriversi al concorso di poesia, sotto pseudonimo, addirittura sdoppiandosi in due fantomatici scrittori, Georges Hohrod e Martin Eschbach, di nazionalità francese e tedesca. I cognomi erano presi dai toponimi di due villaggi dell’Alsazia, vicini al luogo di nascita della moglie del barone, Marie Rothan.
L’opera in concorso si chiamava “Ode allo Sport”, era scritto in francese e in tedesco (fu probabilmente la moglie ad aiutare De Coubertin nella stesura di questa versione) e si componeva di nove strofe, tante quante le Muse greche, sul modello delle “Cinque grandi Odi” di Paul Claudel pubblicate tra il 1904 e il 1910. L’anafora “O Sport” apriva ogni strofa, come nei canti celebrativi dell’antica Grecia, e di volta lo sforzo fisico era lodato come veicolo di bellezza, audaci, giustizia, gioia, fecondità. L’esordio metteva subito in chiaro il tono (e il valore letterario) del componimento: “O Sport, piacere degli dei, essenza di vita, di colpo sei apparso in mezzo alla grigia pianura in cui s’agita il lavoro ingrato della vita moderna, come il messaggero radioso di età svanite, tempi in cui l’umanità sorrideva”.
D’Annunzio alle Olimpiadi degli artisti
In ogni caso i versi di De Coubertin (che ne riconobbe la paternità solo molto anni dopo) sbaragliarono la concorrenza di poeti illustri, come il nostro Gabriele D’Annunzio. L’Italia peraltro conquistò il primo posto nel medagliere delle arti, vincendo la medaglia d’oro per la musica, con la Marcia trionfale olimpica del compositore Riccardo Barthelemy, e quella per la pittura, con un olio di Carlo Pellegrini dedicato agli sport invernali. Le medaglie per le discipline artistiche vennero assegnate fino alle Olimpiadi del 1948, tra il netto gradimento del pubblico (che visitava in massa le esposizioni dei partecipanti) e gli strali dei critici (che contestavano il “professionismo” degli autori, in contrasto col preteso dilettantismo degli atleti) e degli stessi artisti (che mal sopportavano di essere messi in competizione).
La fine del trionfo delle arti
Le Olimpiadi delle arti infine cessarono e ne fu quasi cancellato il ricordo: l’Ode allo Sport di De Coubertin resta forse la traccia più duratura di questo esperimento. Scritta in due lingue per riconciliare due popoli, francesi e tedeschi divisi dalla fresca baruffa navale al largo di Agadir, in Marocco, la poesia non ebbe il successo sperato, a giudicare dalle crescenti discordie che sfociarono nella prima guerra mondiale. Pure, con tutti i loro limiti letterari, le parole dell’Ode suonano ancora sincere: “O Sport, tu sei la pace! Propizi rapporti felici tra i popoli, unendoli nel culto della forza controllata, organizzata e maestra di se stessa”.
(Foto Apertura: Oliverouge 3/Shutterstock.com)
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