La sindrome e gli effetti del Long Covid, tra i numerosi altri problemi, causano in particolare danni al cervello. Li hanno evidenziati, e calcolati, studiosi americani e inglesi
Secondo la definizione dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche di Milano “Mario Negri”, «il Long Covid è una sindrome post-virale che può debilitare una persona sotto molti aspetti anche per parecchie settimane dopo la negativizzazione, e cioè dopo la guarigione e la conseguente eliminazione del virus dall’organismo. La durata della persistenza dei sintomi non sembra essere collegata all’intensità degli stessi durante la malattia: può succedere, infatti, che anche le persone che hanno avuto una forma lieve di Covid-19 sviluppino problemi a lungo termine.»
Ipotesi sul Long Covid
Le ricerche attuali – seppure limitate e con finanziamenti scarsi – continuano ad approfondire quali possono essere le conseguenze della malattia che, a partire dal 2019, ha colpito circa 400 milioni di persone in tutto il mondo. E che continua a colpire, anche se in maniera ridotta e attutita.
Le ipotesi sulle cause del Long Covid, al di là di quelle che lo dicono prodotto diretto del virus o del trauma che ne consegue, variano dall’ipotesi che sia la stessa risposta immunitaria contro l’infezione a essere talmente forte da generare anticorpi che colpirebbero altri tessuti vitali. Oppure che la stessa reazione non riesca invece a eliminare tutte le particelle virali, permettendo ad alcune di “nascondersi” in diversi tessuti, dove continuano a causare danni per settimane e mesi.
Oppure ancora che il sovvertimento del sistema immunitario che accompagna l’infezione da Covid-19 riattivi virus diversi fino allora “dormienti” o provochi la disbiosi, uno squilibrio nel normale corredo di microbi che abitano i tratti respiratorio e digerente umani, o produca microcoaguli, minuscole masse di cellule del sangue che impedirebbero all’apporto di ossigeno del corpo di soddisfare le richieste degli organi.
I sintomi
Tutte le conseguenze però non sono affatto chiarite e le ricerche degli studiosi continuano al fine di debellare i danni di cui una percentuale valutata tra il 4 e il 20% dei colpiti da Covid 19 subisce. Sintomi diffusi del Long Covid sono soprattutto la stanchezza e la perdita del gusto e dell’olfatto. A essi si aggiungono, specie in chi aveva malattie preesistenti, vertigini, mal di testa, difficoltà nel sonno, respiro corto, palpitazioni e battito irregolare, ansia o stress, disturbi gastrointestinali, iper-sudorazione, eritemi cutanei, perdita di capelli, debolezza delle unghie, dolori muscolari, problemi renali.
La “nebbia cerebrale”
Un altro dei sintomi più frequenti è la “nebbia cerebrale”, che causa problemi di memoria e di concentrazione, sommati alla costante sensazione di stanchezza. Nota come “encefalomielite mialgica” o “sindrome da stanchezza cronica”, ha cause ancora da chiarire, anche se spesso si manifesta proprio in seguito a un’infezione.
Una ricerca del Johns Hopkins Medicine, che raggruppa tre dei migliori ospedali americani, sui propri pazienti di Covid acuto ha dimostrato che il 67% di loro dopo quattro mesi dalla diagnosi mostrava un punteggio cognitivo anormalmente basso. «La velocità di elaborazione (35%), la fluidità verbale (26%–32%), l’apprendimento (27%) e la memoria (27%) erano più comunemente compromesse», afferma il report. «Tra tutti i pazienti, il 35% presentava sintomi moderati di depressione, ansia (23%) o declino funzionale (15%). I sintomi neuropsichiatrici e il declino funzionale non differivano in base allo stato post terapia intensiva rispetto a quello non di terapia intensiva e non erano correlati ai punteggi compositi cognitivi globali.»
Quanti punti di QI si perdono?
Preoccupanti sono anche i dati riportati dagli studiosi dell’Imperial College di Londra, che da tempo analizzano i dati di una vasta popolazione – dagli 80mila ai 110mila soggetti – proprio in relazione all’impatto prodotto dalla pandemia sul cervello. L’ultima loro indagine ha voluto farlo in termini quantitativi, utilizzando i punteggi standard di valutazione del QI, il quoziente d’intelligenza, e confrontando persone colpite dall’infezione con chi non l’aveva mai avuta. I test cognitivi attestano che i pazienti con sintomi di Long Covid mostrano mediamente un QI di 6 punti inferiore rispetto a chi non è stato infettato, mentre i contagiati senza più sintomi presentano una perdita equivalente a 3 punti QI, che però può arrivare anche a 9 punti per chi è stato ricoverato in terapia intensiva.
Infine chi si è ammalato durante gli ultimi periodi di varianti presenta deficit cognitivi minori rispetto agli infettati dal virus originale o dalla variante alfa e i partecipanti che hanno ricevuto due o più vaccinazioni presentano un depauperamento cognitivo inferiore. Insomma l’aspetto positivo della ricerca è che l’associazione tra Covid e “nebbia cerebrale” si è attenuata con il progredire della pandemia e delle cure.
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