Si lavorerà tutti più a lungo e l’età della pensione sarà in media più alta. Un’inchiesta di 50&Più per guardare da vicino l’articolato universo dei lavoratori anziani, alla luce degli eventi stravolgenti che ci hanno appena investito, di un mondo che sta cambiando e delle sfide che ci attendono
Sono 643mila i lavoratori over 65 che alimentano la forza lavoro dell’Italia (18 milioni in totale): un piccolo esercito che, dal 2008 al 2018, è cresciuto del 60,8% e il cui tasso di occupazione aumenterà nei prossimi anni (indagine Istat 2019 sul mercato del lavoro). Una cosa sembra certa: si lavorerà tutti più a lungo e l’età della pensione sarà in media più alta. Secondo la Commissione Europea, il rapporto di dipendenza degli anziani supererà il 51% nel 2070, facendoci passare dall’attuale rapporto di 1 lavoratore over 65 su 3 lavoratori ad 1 over 65 su 2 lavoratori. Anche l’aspettativa media di vita aumenterà, passando dagli attuali 80,9 anni per gli uomini (dati Istat al 2018) a 82,6 anni, mentre per le donne passerà da 85,2 anni a 86,9 anni.
Alla luce di questi dati, cosa rappresenta il lavoro per l’anziano e l’anziano cosa rappresenta per il mondo del lavoro di oggi? Per capirlo meglio, abbiamo sentito l’opinione del professor Marco Trabucchi, geriatra, presidente della Fondazione Leonardo e direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia.
«Ci sono situazioni molto diverse perché per alcune tipologie, dal contadino al professionista, il lavoro è sempre stato parte integrante della vita; non ci sono state separazioni. Il lavoro è parte della vita, è interesse, curiosità, modo per impiegare il tempo, per sentirsi utili, per guardare al domani».
Sta cambiando il modo di ritirarsi dalla vita lavorativa? È un passaggio netto o ci possono essere anche situazioni miste?
«C’è una lenta separazione dal posto del lavoro, anche se non ne sono sempre convinto. Se uno è abituato a lavorare, lavorerà un po’ meno, ma lavorerà. Ad esempio, il commerciante che ha sempre gestito il proprio negozio potrà essere sostituito da figlio, figlia, genero o nuora, ma vorrà continuare ad essere lui legato all’attività di sempre. Magari lascerà ad altri la parte più gravosa, ma non vorrà essere spossessato del diritto di stare ancora lì a dare un contributo».
La pandemia da Covid-19 non ha arrestato i lavoratori anziani. Secondo il direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, Roberto Monducci, in molti settori già ad aprile i lavoratori sospesi erano il 48,2% degli under 24 (circa 522mila lavoratori) contro il 24,5% degli over 55 (1 milione e 261mila). «È la voglia degli anziani di socialità – chiosa il professor Trabucchi -, di stare con gli altri, di uscire dalle incombenze familiari. Il lavoro è vita, è relazione. I lavoratori anziani sono cresciuti in un’epoca in cui il lavoro era fondamentale per la crescita civile. Oggi per i giovani il lavoro diventa talvolta un aspetto secondario nella loro realizzazione personale. Gli anziani, invece, traggono dal lavoro soddisfazione per la vita».
Il Covid-19 sta anche cambiando profondamente le regole del mondo del lavoro. Molte aziende stanno pensando di introdurre modalità di lavoro miste, con attività svolte in parte in ufficio e in parte da casa (smart working): si tratta di una modalità più basata sulla fiducia e gli obiettivi da raggiungere che sulla presenza fisica. Può valere anche per l’anziano?
«Se l’anziano è costretto a fare un’ora di pendolarismo è certo che il lavoro da casa va bene, ma l’anziano ha anche voglia di uscire». Il cambiamento richiede anche competenze digitali.
«Certamente l’anziano potrebbe trovarsi in difficoltà su questo fronte, perché spesso non è in grado di adeguarsi a queste richieste, a queste prestazioni. Per un notevole periodo ci sarà questo piccolo conflitto tra l’anziano e i lavoratori più giovani, ma non si tratterà di una rottura netta». E se è vero che il digital divide è un tema che governi e industria stanno affrontando, è vero anche che nel mondo del lavoro c’è spazio anche per i senior.
«Molte aziende cominciano a valorizzare il sapere, l’esperienza, la competenza degli anziani. Il problema vero è quello di far sentire queste persone centrali, non solo sopportate». Il vantaggio per le aziende? «Diverse ricerche sociologiche dimostrano che il lavoratore anziano non ruba il lavoro al giovane. Per il futuro, mi auguro che l’anziano possa continuare a lavorare. Spesso costui continua a lavorare perché il lavoro lo fa stare attaccato alla vita e, se sta attaccato alla vita, sta anche attaccato agli interessi dell’azienda. Non c’è dubbio su questa circolarità».
La “questione” anziani e lavoro è un tema centrale per l’economia nazionale e lo è ancor più oggi, alla luce delle sfide di ricostruzione che la pandemia pone al mondo intero. In questo scenario anche i lavoratori senior possono contribuire al rilancio dell’economia nazionale. È su questo tema ancora poco dibattuto che si concentra il volume appena pubblicato, La popolazione anziana e il lavoro: un futuro da costruire, a cura di Marco Trabucchi, Gabriele Sampaolo e Anna Maria Melloni, edito da Il Mulino.
«L’opera collettanea che si compone di contributi di esperti che provengono da campi di competenze ed esperienza diversi, poggia su quattro considerazioni: la prima considerazione è che la capacità lavorativa e anche fisica della persona anziana va sempre migliorando, cioè il 75enne di oggi è come il 65enne di 15-20 anni fa. Tra qualche decennio, il 65enne sarà come l’attuale 55enne. Il libro parte proprio da questa prima considerazione: l’invecchiamento è un processo molto più lento. Una seconda considerazione clinica è che il lavoro, l’attività fisica, così come l’attività intellettuale e la capacità di organizzare, mantengono giovani. Il dare senso alla vita è più importante che non correre dietro al colesterolo. Terzo, il libro parte dal concetto che vi è uno spazio rilevante per il lavoratore anziano e che quindi è bene conservarlo e, anzi, svilupparlo. La quarta considerazione è che occorre che si creino posizioni di lavoro per l’anziano, che gli permettano di realizzare questo suo desiderio di lavorare e di essere utile per la collettività e per l’azienda».
Cosa fare per promuovere gli anziani al lavoro?
«Bisognerebbe innanzitutto distruggere l’idea malefica che la gente stia bene a casa propria a fare la calza e l’idea che il lavoro sia una punizione; che i vecchi siano stanchi e malati; che invecchiare sia una malattia. Lo si può fare. Qualche anno fa nessuno si sognava di parlare di lavoro degli anziani. Oggi lo facciamo e lo facciamo in maniera chiara. Questo libro è il contributo di molte persone di grande prestigio professionale che dimostra che oggi il tema del lavoro in età anziana è centrale».
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