Quali richieste alla politica? Lo spiega Jacopo Ierussi, docente universitario, vicepresidente della Fide. Da anni specializzato nelle tematiche dell’innovazione e del mondo che cambia.
Lo sviluppo della digitalizzazione e l’esplosione dei social ha influenzato i rapporti tra le persone e ha contagiato anche il mondo del lavoro con la nascita di figure nuove in cerca di tutele. A raccontare lo stato dell’arte è Jacopo Ierussi (nella foto, in apertura), docente universitario, vicepresidente della Fide.
Perché un’associazione per gli influencer? Come è nata l’idea?
Assoinfluencer nasce formalmente nel 2019 con l’obiettivo di promuovere e tutelare la figura di influencer/creator come categoria professionale. Il tutto è scaturito da una semplice domanda: “in un momento di crisi del sindacato tradizionale, quali sono le professioni di nuova generazione ancora fuori dal sistema delle relazioni industriali che hanno bisogno di essere rappresentate?”. Dopo alcune indagini a contatto con i professionisti del settore, in Italia siamo oltre 300mila, avvertita la mancanza di tutele e certezze, abbiamo deciso di avviare un percorso di caratura istituzionale che ci ha portato ad essere inseriti, al termine di un periodo di esame, nell’elenco ufficiale delle associazioni professionali non ordinistiche tenuto a norma di legge dal Ministero delle Imprese del Made in Italy (ex MISE) e, in seguito, ad entrare in Confcommercio Professioni.
Cosa consiglierebbe ad un giovane che vorrebbe intraprendere la professione di influencer?
Senza alcun dubbio gli direi di studiare. L’improvvisazione non è sufficiente e dopo un po’ bisogna sapersi rinnovare in termini di format altrimenti la community si sente trascurata. Per fare ciò bisogna sapere leggere KPI, utilizzare tool, etc. Si devono conoscere le regole che vigono nel settore per non commettere errori lato giuridico/fiscale che potrebbero costare caro. È una professione come un’altra, perciò si può fallire così come potrebbe avvenire aprendo uno studio legale.
Voi siete liberi professionisti non iscritti ad ordini, quali tutele avete, quali sono le vostre richieste alla politica?
Di richieste ne abbiamo formulate diverse in questi anni. In virtù dell’attività svolta sino ad ora, siamo stati ricevuti in audizione presso la Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva “sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali” che poi ha portato all’entrata in vigore del cd. “Emendamento Creators”. Abbiamo avuto modo di tornare in Parlamento altre due volte promuovendo gli ‘esports’ durante le audizioni alla Camera dei Deputati sulla Riforma del Lavoro Sportivo e al Senato abbiamo fatto sentire la nostra voce in piena crisi META/SIAE. Al contempo, abbiamo preso parte alla consultazione pubblica avviata dalla Commissione Europea in merito alla futura Direttiva sui lavoratori delle piattaforme digitali che ha portato alla pubblicazione delle nuove linee guida per la contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi individuali ai sensi delle norme sulla concorrenza dell’UE. Con il supporto di Confcommercio Professioni e, in particolare, della presidente Anna Rita Fioroni che ha creduto in noi, stiamo promuovendo a livello Istat e Eurostat l’introduzione di un codice ATECO ad hoc per la professione che rappresentiamo; quest’ultima battaglia per noi è molto sentita.
Quali sono i settori in cui l’influencer può dare un contributo importante e fare la differenza?
Gli influencer sono figure trasversali che trattano di una moltitudine di tematiche diverse che vanno dalla cosmesi alla politica. Possono certamente fare la differenza nel promuovere il patrimonio culturale ed imprenditoriale del nostro Paese.
Quali insidie e pericoli si nascondono dietro l’angolo della vostra professione?
Purtroppo ce ne sono parecchie. Spesso e volentieri la percezione della collettività verso questa professione è negativa, al punto che molti non lo considerano un lavoro, il che è insensato. Se grazie a una data attività, intellettuale e/o non, paghi tasse, contributi e ti rendi economicamente autosufficiente, questa deve essere classificata come un lavoro. Il rischio è di farsi catturare dalla suddetta illusione collettiva e abbandonare le accortezze del caso così come l’essere vittima della propria community o dimenticare di dare priorità alla propria salute psico-fisica. Ribadisco, il lavoro è lavoro e deve gratificare e aiutare a costruire una propria identità. A ciò aggiungo il tema della cybersecurity che sta diventando pressante. Sempre più creator sono vittime di hacker che vedono nei loro profili social media un mezzo per estorsioni e/o una merce da rivendere nel ‘dark web’. Per questa ragione da poco abbiamo chiuso una partnership con Kopjira che è specializzata nel tutelare i professionisti in questo genere di situazioni.
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