Esiste un “diritto alla vita” degli animali? I diritti degli animali prevalgono su ogni altro diritto? Dobbiamo sentirci in colpa se mangiamo un hamburger al fast food, magari prima di saltare di corsa su un treno?
Secondo la cultura giuridica tradizionale, gli animali non possono essere titolari di diritti e sono considerati alla stregua di cose che si possono comprare, vendere e, con qualche limite sulle modalità, anche uccidere. È un approccio che negli ultimi decenni è molto mutato, sia dal punto di vista della riflessione etica sia dal punto di vista delle legislazioni. Oggi si discute, fra l’altro, di un vero e proprio “diritto alla vita” per gli animali, e il dibattito sul punto è spesso caratterizzato da impostazioni ideologiche estreme. “L’ossessione verso i diritti rende faticoso vederne i limiti”, scrive la filosofa Leslie Cannold. Parlando di veganesimo o vegetarianesimo, talvolta l’impressione è che a prevalere non sia il rispetto degli animali, ma una presunta superiorità morale di chi decide di non mangiare più prodotti di origine animale rispetto ai carnivori. “Io” non uccido gli animali, tu invece? Probabilmente se ci chiedessimo “chi” sto mangiando e non “cosa” sto mangiando, tutti avremmo qualche senso di colpa in più. Se poi guardiamo i dati, la faccenda diventa ancora più complicata: ogni anno, sono oltre 150 miliardi gli animali uccisi a scopo alimentare. Una vera e propria ecatombe. Lo storico israeliano Yuval Noah Harari sostiene che l’allevamento industriale sia uno dei peggiori crimini commessi dall’uomo, parla di un “progresso disseminato di animali morti” e si interroga se non sia arrivato il momento di sovvertire questo paradigma.
Nel 1975 il filosofo australiano Peter Singer, in Liberazione animale definì specismo la (erronea) convinzione degli umani quanto alla loro superiorità sulle altre specie e quanto al loro diritto di dominarle, servirsene, mangiarle. Essere antispecisti vuol dire mettere in discussione la distinzione tra umano e animale; far valere un principio di uguaglianza in base al quale viene preso in considerazione l’interesse – il diritto? – a non soffrire, indipendentemente dalla specie di appartenenza.
Ma non c’è solo un dilemma morale dietro la scelta fra il restare carnivori o diventare vegetariani, perché l’inquinamento del pianeta passa anche dal nostro piatto. La produzione di carne è responsabile del 18% delle emissioni globali di gas serra. Per ogni kg di carne di maiale e pollame si produce una quota variabile che va dai 3,2 ai 4,6 kg di anidride carbonica, per ogni kg di filetto di manzo si arriva fino a 60 kg di CO2. Sostituire il filetto di manzo con proteine vegetali ridurrebbe il riscaldamento globale potenziale di un buon 80%.
Una consapevolezza sempre più presente anche in Italia, dove le persone che decidono di non mangiare più prodotti di origine animale sono in aumento: secondo l’indagine Eurispes 2021, i vegetariani e i vegani sono l’8,2% della popolazione.
Esiste anche la possibilità di condurre una vita da carnivori etica, magari assicurandoci che gli animali di cui ci nutriamo, o per mezzo dei quali ci vestiamo, abbiano vissuto e siano morti senza dover subire le spaventose sofferenze dell’allevamento intensivo; magari impegnandoci perché cessi questa forma barbara di sfruttamento dell’uomo sul mondo animale.
Insomma, non basterebbe ridurre il consumo della carne piuttosto che eliminarlo del tutto? In effetti, un altro approccio etico, anche se basato su presupposti diversi, è quello di chi sceglie di diventare “flexitariano”, cioè di ridurre drasticamente il consumo di carne, oppure “reducetariano”, come chi sceglie di consumare carne o pesce nel weekend o solo un giorno a settimana.
In ogni caso, l’importante è che rispetto alle domande sulla sostenibilità ambientale e sulla liceità morale di mangiare una bistecca ci si ponga con spirito laico. Senza complessi di superiorità dell’uomo rispetto agli animali o di taluni umani rispetto agli altri.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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