“Barometro Alzheimer: riflessioni sul futuro della diagnosi e del trattamento”. É il titolo del primo rapporto del nostro Paese sul futuro della diagnosi e del trattamento di una malattia dalla portata globale.
In Italia oltre 1 milione di persone over 65 è affetto da demenza, oltre 630 mila da Alzheimer (circa il 20% della popolazione over 60) e oltre 928 mila da Declino Cognitivo Lieve. Alla luce dei dati stimati si impone dunque l’esigenza di individuare gli strumenti – di terapia e di prevenzione – per limitare in futuro un aumento dei costi di queste patologie, in termini sociali ed economici.
Un’indagine sul campo
Il progetto “Barometro Alzheimer” è realizzato da Deloitte e Biogen con la consulenza di un Comitato Scientifico di esperti di organizzazioni e società scientifiche impegnate nell’approccio alle demenze. L’obiettivo è individuare i percorsi del paziente e di valutare le possibili aree di intervento. Questo nella prospettiva che in futuro sia possibile introdurre trattamenti in grado di modificare l’andamento della malattia nelle fasi considerate “lievi”. Grazie ad una indagine sui Centri attivi nelle demenze, il Report ha raccolto un numero consistente di dati sui quali lavorare per individuare le possibili situazioni di criticità.
L’importanza di una diagnosi precoce
Pur in mancanza di una terapia farmacologica in grado di bloccare i sintomi, l’Alzheimer non viene più considerato come una malattia inarrestabile. Grazie alle ultime scoperte viene oggi valutata come una patologia che, se diagnosticata in tempo, potrebbe ritardare o modificare la sua progressione. Purtroppo, nonostante una capillare presenza sul territorio (oltre 600 in media aperti 5 ore al giorno per 3 giorni a settimana), le strutture per malati di Alzheimer soffrono di gravi carenze. In molti casi mancano addirittura le strumentazioni necessarie per effettuare una corretta diagnosi. In altri il tempo per ricorrere ai test neuropsicologici specifici per una prima valutazione cognitiva. Inoltre la maggior parte dei pazienti arriva ad un Centro specializzato circa 11 mesi dalla comparsa dei primi sintomi e senza una diagnosi formale.
Il ruolo del medico di Medicina Generale
Il riconoscimento dei primi sintomi è cruciale per la qualità di vita della persona colpita. Un compito che, per la natura stessa del loro ruolo, possono adempiere familiari e caregiver. Che però – sottolinea il Rapporto – devono essere in grado di riconoscere e intercettare le prime avvisaglie della malattia. Per questo è importante l’approccio con il Medico di Medicina Generale, che deve essere oggetto di una formazione aggiornata e costante sul tema. Un aspetto finora carente dal momento che – dal 2018 ad oggi – solo il 33% dei corsi accreditati ECM sull’Alzheimer dedica spazio alle forme precoci (dati Agenas e Associazione Italiana di Psicogeriatria).
Tecnologie sempre più evolute
Se la presa in carico del paziente in tempi rapidi è di grande importanza, i dati segnalano che – per carenza di tempo – il 70% dei Centri si trova nell’impossibilità di eseguire i test cognitivi. Ed evidenziano anche una criticità della infrastruttura diagnostica dal punto di vista tecnologico. In futuro infatti la scienza avrà sempre più bisogno di ricorrere ad una conferma tramite biomarcatori individuati attraverso strumenti sempre più evoluti. Per questo sarebbe necessario incrementare del 12% le macchine per la Risonanza Magnetica Nucleare, del 23% quelle per PET e del 57% le strumentazioni per l’analisi del liquido Cefalo-Rachidiano.
Risorse umane, un approccio multidisciplinare
Ma le macchine non possono funzionare senza un personale adeguato. Per velocizzare la diagnosi e la presa in carico, nei Centri sono presenti pool disciplinari formati da neurologi, geriatri, psichiatri, neuropsichiatri, infermieri, radiologi e internisti. Una stretta collaborazione tra queste figure è essenziale per affrontare il declino cognitivo del paziente. Ecco allora la richiesta di rafforzare il lavoro in team, dotando i professionisti anche della necessaria formazione sugli aspetti tecnologici. La metà dei Centri chiede un rafforzamento delle équipe, un altra metà un potenziamento delle capacità tecniche per migliorare le competenze neuroradiologiche.
Le conclusioni del Comitato Scientifico sul Barometro Alzheimer
Per il Comitato scientifico che ha collaborato al Progetto “Il Barometro rappresenta un primo passo verso la comprensione più ampia della malattia e del suo impatto sul sistema salute”. Il documento infatti fotografa con incisività lo stato attuale fornendo al contempo alle Istituzioni preziose indicazioni preliminari. Solo coinvolgendo tutte le parti in gioco – cittadini e professionisti – è possibile costruire una vera cultura della prevenzione. Come sottolinea a Dire Elisa Costantini, Director Life Sciences and Healthcare di Deloitte, i dati raccolti devono fornire da stimolo per riflettere sulle possibili aree di intervento per vincere le sfide del prossimo futuro.
Il futuro della ricerca grazie al Barometro Alzheimer
Anche se non esiste oggi una cura in grado di rallentarne la progressione, ma solo farmaci con benefici limitati e molto costosi, la ricerca sull’Alzheimer non si ferma. Dopo le polemiche sull’Aducanumab, medici e scienziati continuano a lavorare su una delle più grandi sfide alla salute pubblica mondiale. Secondo l’Oms sono oltre 55 milioni le persone affette da demenza nel mondo. Un numero destinato a crescere per via dell’invecchiamento della popolazione. In Italia malati e familiari, grazie al Fondo Alzheimer e Demenze istituito dalla Legge di Bilancio 2021, e a strumenti di indagine come la survay appena pubblicata, attendono il futuro con maggiore speranza.
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