Attraverso l’analisi dei fattori di rischio è possibile controllare lo sviluppo dei disturbi associati alla malattia. Patrizia Mecocci (Sigot): «È urgente aggiornare il Piano Nazionale di Prevenzione»
«Non è mai troppo tardi, ma prima si inizia, migliori sono i risultati». Ad affermarlo, citando il maestro Alberto Manzi, è Patrizia Mecocci, direttrice della struttura complessa di Geriatria dell’azienda ospedaliera di Perugia, professore ordinario di Gerontologia e Geriatria dell’Università degli Studi di Perugia, riconosciuta fra le mille migliori scienziate del mondo nella classifica stilata da Research.com. Insieme alla Sigot (Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio), di cui è membro del direttivo, Patrizia Mecocci lavora ogni giorno per prevenire e ridurre i sintomi delle demenze, nella convinzione che ritardarne o alleviarne la comparsa sia possibile per quasi la metà dei casi.
«Quello che un tempo era solo buon senso, oggi è provato da molti studi scientifici: prevenire i sintomi delle demenze è possibile – ci assicura Patrizia Mecocci -, numerose ricerche su larga scala hanno dimostrato e stanno dimostrando che controllare i fattori di rischio permette di controllare lo sviluppo dei disturbi associati alle demenze». Fattori di rischio che hanno a che fare con uno stile di vita salutare, soprattutto dal punto di vista vascolare, ma che coinvolgono anche la sfera mentale, emotiva e sociale della vita. «Si rivela particolarmente positivo ed efficace l’impatto di una buona rete amicale e familiare, così come un’adeguata stimolazione a livello cognitivo – spiega Mecocci -. Lo abbiamo sempre pensato, ma oggi lo sappiamo con certezza scientifica: stimolare il cervello a superare sé stesso è fondamentale. Per questo, raccomando sempre ai miei pazienti di proporre sfide al proprio cervello – siano anche semplicemente dei giochi enigmistici -, ostacoli che debba affrontare e superare».
Altrettanto importante è l’attività fisica, che non solo favorisce socializzazione e benessere fisico, ma attiva anche a livello biologico processi che agiscono positivamente sul cervello. Se uno stile di vita sano è un’ottima scelta fin da giovani, per Mecocci «è importante ribadire che non è mai troppo tardi per iniziare. Questo vale per il fumo, come per la stimolazione cognitiva: abbandonare le sigarette a 80 anni è sicuramente meglio che non farlo affatto. Allo stesso tempo, se il cervello non viene stimolato si assopisce, ma è sempre possibile risvegliarlo».
La scienza, insomma, ce lo sta dicendo chiaramente: la prevenzione va fatta e funziona. Tanto che «oggi prevediamo che nei prossimi anni la demenza e i suoi effetti si riducano – riferisce Mecocci – proprio grazie alla prevenzione che sta dando ottimi risultati». Perché questo accada, però, non bastano buoni medici: servono anche buone politiche. Per questo motivo, Sigot chiede con forza l’aggiornamento del Piano Nazionale della Prevenzione, il documento di sanità pubblica che fornisce indicazioni strategiche per la promozione e il miglioramento degli interventi nel settore. Elaborato dal ministero della Salute, insieme a regioni, Iss e associazioni, il Piano risale ormai a dieci anni fa e necessita di un aggiornamento, anche perché non affronta temi fondamentali, come la residenzialità: eppure, il 70% delle 350mila persone ricoverate nelle Rsa presenta una forma di demenza.
«La prevenzione è affidata al medico, ma anche alla politica – afferma ancora Mecocci -. Faccio un esempio: se io dico ai miei pazienti di camminare, ma poi in città non esistono marciapiedi e il traffico è incontrollato, diventa difficile che questa indicazione possa essere seguita. Ancora: se conosciamo l’importanza di un’alimentazione sana, perché perfino le macchinette negli ospedali distribuiscono cibo spazzatura? Serve un’attenzione costante e un approccio globale alle demenze, tramite un Piano nazionale che sia costantemente aggiornato e finanziato, e che disegni una sorta di osmosi tra medicina del territorio e specialistica».
La realtà però è ancora molto diversa da quella che dovrebbe essere, soprattutto a causa di un sistema sanitario in affanno: «Il punto di riferimento del paziente è e deve essere il medico di base o le case di comunità. Il problema è che se tutti i medici sono oberati dalla burocrazia, i medici diventano burocrati e non sono più medici. Abbiamo provato a far somministrare ai medici di famiglia un piccolo test cognitivo, per una prima valutazione e il successivo invio, in caso di esito positivo, presso lo specialista. Non ha funzionato, perché i medici di base sono oberati di burocrazia e non riescono a gestire questo passaggio». Per questo, è necessaria e urgente una cornice normativa e istituzionale, un Piano nazionale appunto, in cui siano definiti ruoli, procedure e soprattutto risorse per prevenire e affrontare il problema delle demenze, che oggi coinvolge circa 1,2 milioni di anziani nel nostro paese, ma interessa, direttamente o indirettamente, 6 milioni di persone, considerando anche i familiari che se ne fanno carico. Una popolazione che chiede di essere sostenuta, ma che oggi si sente abbandonata.
© Riproduzione riservata