Gli indicatori “SOS” (sonno, olfatto, stipsi) consentono la diagnosi precoce di Parkinson per rallentarne l’evoluzione.
Tra le più diffuse patologie neurodegenerative è seconda solo all’Alzheimer ed è candidata a sottrarne il primato. La malattia di Parkinson secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità risulta, infatti, in rapida ascesa non solo nei paesi occidentali ma in tutto il globo.
Venne identificata e descritta 206 anni fa con il nome di “paralisi agitante” da James Parkinson e ben presto indicata con l’eponimo del medico britannico. Alla fine degli Anni Sessanta fu individuata l’origine della malattia nel deficit di dopamina. Ma la causa del Parkinson rimane – ancora – un enigma.
La malattia nel nostro Paese colpisce 300mila persone
Oltre 300mila italiani convivono con questo male cronico e invalidante che si manifesta, con una lieve prevalenza nel sesso maschile, in media intorno alla sesta decade di vita. Tuttavia nel 20% dei casi ha un esordio “precoce” prima dei 50 anni e, più raramente, un esordio “giovanile”, ovvero prima dei 40 anni, sebbene sia considerata una patologia correlata all’avanzare dell’età.
SOS, i tre segnali premonitori
I neuroscienziati hanno individuato in sonno, olfatto e stipsi – espressi dal suggestivo acronimo “SOS” – tre segni premonitori, che si manifestano già anni prima della comparsa della malattia conclamata, caratterizzata dalla classica triade sintomatologica motoria: tremore a riposo, bradicinesia (rallentamento dei movimenti) e rigidità.
Il Professor Angelo Antonini: “Prevenire il Parkinson si può”
“Il disturbo del comportamento del sonno REM è un primo sintomo altamente predittivo della malattia”, ci spiega Angelo Antonini, responsabile dell’Unità per la Malattia di Parkinson e per i Disturbi del Movimento dell’Azienda Ospedale Università di Padova nonché del Centro Studi per la Neurodegenerazione (CESNE) presso il dipartimento di Neuroscienze dell’ateneo patavino.
“Un altro sintomo prodromico è la riduzione olfattiva (iposmia) inclusa la capacità di distinguere gli odori, che compare addirittura 10-15 anni prima della comparsa dei sintomi motori. Infine la stipsi è un sintomo molto comune ma, se associato agli altri due e se compare intorno ai 40-50 anni d’età in persone che avevano una normale funzione intestinale, può predire il rischio di sviluppare la malattia”.
“Esami di laboratorio, come un prelievo ematico o un piccolo prelievo cutaneo, ed un’eventuale gastroscopia consentono, oggi, di documentare le prime alterazioni a carico dell’alfa sinucleina. Quando questa proteina non funziona più correttamente, tende ad aggregarsi determinando la morte delle cellule nervose; in particolare di quelle che producono la dopamina (un neurotrasmettitore essenziale per il controllo del movimento, che diminuisce drasticamente nei malati di Parkinson, ndr)”.
“Nel nostro Centro studi, il CESNE, stiamo sviluppando e implementando questi strumenti diagnostici precoci che ci consentiranno in futuro di trattare con terapie biologiche mirate anche i soggetti a rischio. Quando compaiono i segni di rallentamento motorio o il tremore, a quel punto la malattia è già avanzata. Ed è troppo tardi per poter produrre un significativo cambiamento del decorso della malattia. La diagnosi precoce è fondamentale. Anche per questo motivo stiamo lanciando la campagna “Prevenire il Parkinson si può” per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica”.
Le cause della malattia sono tuttora sconosciute…
“Nel 15% dei pazienti la causa della malattia è genetica, dunque è nota. Studi epidemiologici stanno dimostrando sempre più il ruolo dei fattori inquinanti ambientali, dagli idrocarburi alle Pfas (sostanze chimiche artificiali, che si trovano nell’acqua). Ciò è avvalorato dalla crescita del numero delle diagnosi di Parkinson, registrate negli ultimi tempi”.
Infine, Professor Antonini, Il Parkinson resta una sfida (terapeutica) per gli scienziati…
“Oggi trattiamo il Parkinson sostituendo con i farmaci la dopamina nel Parkinson motorio. Ma i ricercatori stanno sviluppando i trattamenti che consentono di modificarne la progressione bloccando i processi che sono alla base della malattia”.
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