“Il potere delle reti contro la solitudine” è uno dei capitoli del volume “Ipotesi per il futuro degli anziani -Tecnologie per l’autonomia, la salute e le connessioni sociali“. Ne abbiamo parlato con l’autrice, la dottoressa Elena Rolandi, psicoterapeuta e ricercatrice presso la Fondazione Golgi Cenci
Quale ruolo possono esercitare le reti sociali, virtuali e reali, per contrastare la solitudine nella terza età? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elena Rolandi, psicologa, psicoterapeuta e ricercatrice presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (Mi). Svolge attività di ricerca sull’invecchiamento e patologie collegate, con particolare interesse per i temi della prevenzione e dei trattamenti non farmacologici.
Dottoressa Rolandi, Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale sociale. È per questo che la solitudine fa tanta paura al giorno d’oggi?
Il bisogno di intrecciare legami sociali intimi, di sentirsi parte di un gruppo è radicato nel nostro essere umani. L’uomo, da sempre, si è costituito in gruppi e questo gli ha permesso di sopravvivere e di avere anche un vantaggio rispetto ad altre specie che, da altri punti di vista, erano più forti.
Le parole sono importanti, partiamo da quelle. Isolamento sociale e solitudine: sono due facce della stessa medaglia?
Sono due concetti che si influenzano a vicenda. Si parla di isolamento sociale quando c’è una scarsità di contatti sociali. È un parametro oggettivo che tiene conto delle caratteristiche della rete sociale di una persona. La solitudine è, invece, il vissuto soggettivo che nasce dal percepire una discrepanza tra la tipologia della rete sociale che io vorrei e quella che in realtà ho. Ovviamente, l’isolamento sociale è un fattore di rischio importante per la solitudine, però non è detto che ad uno consegua sempre l’altro.
Ci sono due tipi di solitudine: quella sociale e quella emotiva. Ci spiega la differenza?
La solitudine sociale è più riferita all’appartenenza a un gruppo, quella emotiva si concentra invece sull’assenza di relazioni intime e importanti rilevanti per la persona.
Quali sono le fasi della vita in cui si soffre di più la solitudine?
Due fasi che, apparentemente, sembrano agli antipodi, ossia quella dell’adolescenza e quella dell’età anziana. In realtà sono due fasi trasformative. L’invecchiamento infatti, può essere paragonabile solo all’adolescenza, considerando la quantità di trasformazioni che si verificano, sia a livello corporeo che a livello sociale. Nell’adolescenza i ragazzi iniziano a individuarsi, a smarcarsi dal nucleo familiare e ad interagire con il gruppo dei pari. È un’età molto delicata, piena di possibilità, ma anche di rischi.
Anche l’età anziana è una fase piena di rischi?
Sì, lo è. È in questa fase che diminuisce la rete sociale, proprio per questioni anagrafiche. Aumenta, infatti, la possibilità di sperimentare delle perdite, anche di persone molto vicine. È più facile andare incontro alla presenza di malattie croniche che limitano, o rendono più difficoltosa, la partecipazione sociale e la mobilità. Si esce dal mondo del lavoro, che il più delle volte è un ambiente sociale. Insomma, il rischio di solitudine è più alto.
Ed ecco che in questo discorso entra in ballo l’importanza delle reti: sociali ma anche virtuali. Anziani e web: che tipo di rapporto c’è?
Molto eterogeneo. Ci sono persone anche molto anziane che usano gli strumenti digitali con un’alta frequenza, a scopo sociale o anche informativo. E poi c’è una grossa parte di anziani, che non hanno ancora alcun tipo di accesso e di competenza al digitale. Sono generazioni uscite dal mondo del lavoro quando l’era Internet stava per iniziare, oppure persone che esercitavano professioni che richiedevano altre competenze. Alcuni studi mostrano che il divario digitale, in realtà, rifletta un divario socioculturale, e questo è ancora più preoccupante.
Perché gli anziani oggi si avvicinano ai social network? Quali sono le spinte e quali i principali ostacoli?
L’interesse è nell’intrattenere relazioni sociali, avendo un contatto più diretto con nipoti o figli, e sperimentando linguaggi di una generazione differente. D’altro canto però, essendo appunto un mondo nuovo, ci possono essere molti timori legati alla privacy o al pericolo di essere raggirati e truffati. E poi ci sono delle difficoltà tecniche. Pensiamo, ad esempio, ad un social network tipo Facebook: a livello di interfaccia, e di carattere, non è facilmente accessibile per le persone anziane. Non è un caso che la maggior parte prediliga WhatsApp: offre una modalità più diretta, rispetta il criterio di privacy ed è più semplice da usare.
Quali possono essere i benefici, a livello emotivo, dell’uso dei social per gli anziani?
Alcuni studi hanno paragonato alcune dimensioni del benessere psicosociale, in persone che facevano uso del digitale e in persone che non lo facevano. È emerso come chi utilizza il digitale ha un impatto positivo su vari parametri (il grado di soddisfazione di vita, la partecipazione a livello sociale, meno solitudine etc.). Altre ricerche, invece, hanno preso in considerazione persone che non facevano alcun uso del digitale prima, osservando poi come la loro vita sia cambiata, in meglio, dopo essersi avvicinati al web.
Come saranno secondo lei, le nuove generazioni degli over 60, digitalmente alfabetizzate o meno?
Sicuramente più delle precedenti, per un discorso di generazione. Anche il costrutto dell’essere anziano, del resto, non è statico, ma cambia nel tempo. È più facile che un settantenne, fra dieci anni, sarà già entrato in contatto con il digitale, rispetto ad un over 70 di oggi.
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