Uno studio recente condotto dall’Università di Danimarca suggerisce che gli esseri umani non possono rallentare la velocità di invecchiamento dell’organismo a causa di vincoli biologici immodificabili. Ma è davvero così?
Il mito dell’immortalità
Da sempre l’uomo insegue il mito dell’immortalità. Oggi i progressi nella scienza, nella medicina e nella tecnologia, sembrano far ben sperare in un progressivo allungamento della vita umana. Del resto molti accademici sostengono che i centenari rappresentino ormai il gruppo di età in più rapida crescita in tutto il mondo.
La vita umana si è allungata?
Un nuovo studio suggerisce tuttavia che, in realtà, il raggiungimento di un’età elevata non è il frutto dell’allungamento della speranza di vita, bensì il risultato di una diminuzione della mortalità all’interno della specie. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, parte da una domanda: è possibile rallentare il tasso di invecchiamento o la durata della vita è fissata da vincoli biologici?
«La morte è inevitabile», afferma Fernando Colchero, coautore della ricerca. «Non importa quante vitamine assumiamo, quando sano sia il nostro ambiente, o quanto movimento facciamo». Un’affermazione, tuttavia, meno sconfortante di quanto possa apparire.
Il tasso di invecchiamento invariante
Lo studio, condotto da scienziati di 14 diversi paesi, si proponeva di testare l’ipotesi del “tasso di invecchiamento invariante”. Secondo questa teoria per ogni specie esiste un tasso di invecchiamento prestabilito, che non può in alcun modo essere modificato. Per i ricercatori i risultati ottenuti supportano questa teoria. L’uomo, infatti, non ha rallentato la morte. Semplicemente, sempre più persone vivono molto più a lungo solo grazie alla diminuzione della mortalità in età giovanile.
Uomini e scimmie
Per dimostrare che il limite di vita è di natura biologica e non dipende dall’ambiente circostante, i ricercatori hanno incrociato i dati relativi alla nascita e alla morte di primati umani e non umani (babuini, gorilla e scimpanzè, liberi o negli zoo), di secoli e ambienti diversi. Hanno così scoperto che il modello generale di mortalità è lo stesso in tutte le specie. Ed è indipendente dall’ambiente circostante.
Un trend uguale per tutti
L’andamento di tutte le popolazioni osservate, uomini e scimmie, ha infatti rivelato il medesimo trend. Un alto rischio di morte nell’infanzia che diminuisce rapidamente negli anni, rimane basso fino alla prima età adulta e poi aumenta costantemente con l’avanzare dell’età. «Osserviamo – afferma Colchero – che non solo gli uomini, ma anche altre specie, come le scimmie che vivono in un ambiente differente (zoo o savana), riescono a vivere più a lungo riducendo la mortalità infantile e giovanile. L’aumento dell’aspettativa di vita – sottolinea – dunque è stato ottenuto riducendo la mortalità precoce e non il tasso di invecchiamento». Quest’ultimo, infatti, resta invariabile, come vuole la teoria iniziale.
Siamo diventati più bravi a sopravvivere?
In poche parole, quindi, l’uomo è diventato solo più “abile” nel rimanere in vita il più a lungo possibile, ma sempre per il tempo che gli è concesso dal limite biologico. Di fatto non è (ancora) riuscito ad aumentare la durata della vita della specie. Secondo il documento, infatti, nelle condizioni attuali, anche i nostri progenitori avrebbero avuto aspettative di vita simili alle nostre.
Un’indagine sui nostri antenati
«I risultati confermano che, nelle popolazioni antiche, l’aspettativa di vita era bassa perché molte persone morivano giovani», affermano i ricercatori. «Con i miglioramenti medici, sociali e ambientali che proseguono inarrestabili, l’aspettativa di vita è aumentata. Sempre più persone oggi riescono a vivere molto più a lungo. Anche se la prospettiva della fine in età avanzata non è cambiata».
La scienza può battere l’evoluzione?
Nelle conclusioni dei ricercatori, questo studio conferma dunque il primato della biologia evolutiva, dimostrando l’impossibilità umana di oltrepassare questo vincolo. Nonostante i progressi avvenuti finora. Ma “non tutto è perduto”, come afferma lo stesso Colchero. La scienza medica progredisce a un ritmo senza precedenti. Non è da escludere che potrebbe ottenere ciò che all’evoluzione finora è mancato: ridurre proprio il tasso di invecchiamento.
Il dibattito sull’aumento della durata della vita alimenta da anni la ricerca, impegnando le tecnologie più avanzate. Nuovi studi puntano a spostare in avanti la lancetta della durata della vita umana, attualmente fissata a 150 anni. Un obiettivo che non è più fantascienza.
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