Nonostante gli sforzi del Governo, la popolazione della Cina è diminuita per la prima volta in oltre 60 anni. Per gli esperti si tratta di un fenomeno dagli effetti imprevedibili.
Secondo i dati appena resi pubblici dall’Istituto Cinese di Statistica, alla fine del 2022 il paese contava 1,411 miliardi di persone rispetto ai 1,412 miliardi dell’anno precedente. Si tratta di qualcosa come 850.000 persone in meno: il primo calo demografico dal 1961, l’anno della terribile carestia che uccise milioni di cinesi. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, a questo ritmo, entro il 2050 la popolazione della Cina si ridurrà di 109 milioni, più del triplo rispetto alle previsioni ottimistiche del 2019. Il che per gli analisti si tradurrà in una contrazione della forza lavoro e in oneri sempre maggiori per l’assistenza sanitaria e per gli altri costi previdenziali.
La crisi del gigante asiatico
Come si legge sulle pagine di The Indipendent il tasso di natalità in Cina ha raggiunto un minimo storico, 6,77 nascite ogni 1.000 persone, in netto calo rispetto alle 7,52 del 2021. Per fare un confronto lo stesso indicatore in India, che è pronta a superare la Cina come nazione più popolosa del mondo, è pari a 16,42. Contemporaneamente il tasso di mortalità lo scorso anno è passato da 7,18 a 7,37, la cifra più alta dal 1976. E l’impatto del Covid-19 potrebbe anche far aumentare questa cifra nel prossimo anno. Il quotidiano inglese riporta il parere di Yi Fuxian, sociologo esperto della realtà cinese all’Università del Wisconsin-Madison.
Un declino irreversibile
Secondo lo studioso i dati mostrano che il calo è stato più rapido del previsto, anticipando di fatto le proiezioni del Governo e delle Nazioni Unite. “Questo – afferma Yi – è il primo calo della popolazione dal 1960, quando il Grande balzo in avanti portò alla carestia. Ma a differenza del 1960, quello del 2022 è un declino demografico naturale e irreversibile”. E aggiunge che la crisi demografica della Cina va oltre ogni immaginazione: l’età media del Paese è infatti passata dai 22 anni del 1980 ai 41 anni del 2020 e – si prevede – salirà a 58 anni nel 2050.
I figli? Almeno due
Per anni, il gigante asiatico ha cercato di incoraggiare le nascite. Ha eliminato la controversa (e a quanto pare suicidaria) politica del figlio unico nel 2015 prevedendo incentivi finanziari per le coppie con due figli. Nell’ottobre 2022, anche il presidente Xi Jinping ha dichiarato pubblicamente come prioritario l’aumento dei tassi di natalità, promettendo che il suo governo “perseguirà una strategia nazionale proattiva” in risposta al rapido invecchiamento della popolazione. Tuttavia le misure non sembrano avere avuto un impatto effettivo e sui social l’hashtag, “#È davvero così importante avere figli?” riceve centinaia di milioni di visite.
Una Cina che il mondo “non ha mai visto”
Altri dati dell’ufficio di statistica rivelano che il numero delle donne cinesi in età fertile, per definizione tra i 25 e i 35 anni, è diminuito di circa 4 milioni. Gli uomini superano le donne per 722,06 milioni contro 689,69, uno squilibrio di genere esacerbato dalla politica del figlio unico. Al momento il Governo rassicura: l’offerta complessiva di lavoro supera ancora la domanda. La popolazione in età lavorativa (tra i 16 e i 59 anni) ammonta infatti a 875,56 milioni, il 62% del totale, mentre gli over 65 anni sono 209,78 milioni, pari a quasi il 15%. Intanto nel mondo la notizia ha suscitato enorme scalpore. “A lungo termine, vedremo una Cina che il mondo non ha mai visto”, dichiara al New York Times Wang Feng, sociologo all’Università della California.
Le cause del fenomeno
Il grande crollo potrebbe significare la fine della Cina come paese tra i più popolosi al mondo (che passerebbe il testimone all’India) e la transizione potrebbe rimodellare l’intera economia mondiale. Ecco perché economisti e sociologi sono così interessati alle cause di questo balzo. Si prova ad attribuirlo ad una errata politica del controllo delle nascite, all’aumento dei costi dell’istruzione e delle abitazioni, al crollo dei matrimoni e in generale ad una mentalità “occidentalizzata”, lontana dai valori tradizionali familiari cinesi. Resta il fatto che, a causa anche della pandemia e della politica nazionale “Covid Zero”, che ha imposto uno dei lockdown più drastici al mondo, l’economia non sta ancora ripartendo. Le famiglie vivono in media con redditi decisamente inferiori rispetto ai più ricchi paesi occidentali.
Sistema pensionistico
Per molti cinesi anziani la pensione è l’unica fonte di reddito. La Cina ha attualmente una delle età pensionabili più basse al mondo e la maggior parte dei lavoratori va in pensione entro 60 anni: è logico supporre che il sistema cambierà a breve. La situazione attuale ha infatti imposto un’enorme pressione non solo sui fondi pensione statali, ma anche sul sistema ospedaliero del paese. Una popolazione in calo fa prospettare un aumento del costo del lavoro (avendo una forza lavoro minore e più istruita) un calo della spesa nel mercato interno e mette gli altri paesi a rischio di inflazione. Molti mercati occidentali infatti dipendono dalle importazioni cinesi.
L’aumento dei costi dell’assistenza
Con meno persone in età lavorativa, nel lungo periodo il governo potrebbe faticare a sostenere un’ingente popolazione, sempre più vecchia e longeva. Nel 2021 il Ministero degli Affari civili dichiarava una spesa dal 2012 a oggi di oltre 27 miliardi di yuan (4,1 miliardi di dollari) per strutture e servizi di assistenza. Già fra il 2016 e il 2020 sono stati stanziati 5 miliardi di yuan per l’assistenza domiciliare, con l’intento di favorire il sostegno in ambiente familiare, quando possibile, con la consegna dei pasti, la pulizia della casa, l’assistenza alla mobilità. Nel 2019 un rapporto dell’Accademia cinese delle scienze sociali aveva previsto che il principale fondo pensione del paese sarebbe rimasto senza soldi entro il 2035. Forse bisognerà anticipare i tempi.
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