Senza l’inglese non si va da nessuna parte. Fino a poco tempo fa un genitore che voleva dare un consiglio al figlio in cerca di lavoro poteva fermarsi lì, sicuro di aver consegnato il messaggio più importante.
Oggi è costretto ad aggiornare la paternale con un nuovo suggerimento: l’inglese è fondamentale, ma non basta più. La globalizzazione ci vuole poliglotti, pienamente a nostro agio nel comunicare in almeno due lingue straniere oltre alla lingua madre.
Ma aumentare le possibilità di carriera non è l’unico vantaggio procurato dal multilinguismo. Ce ne è un altro che interessa tutti, indipendentemente dalle ambizioni lavorative: parlare più lingue mantiene il cervello in forma quando si invecchia allontanando il rischio di demenza. Imparare lessico e grammatica di nuovi idiomi potrebbe rivelarsi utile in molti modi, non ultimo per conservare intatte a lungo le funzioni cognitive come la memoria e la capacità di ragionamento.
L’invito a cimentarsi con suoni e strutture sintattiche diverse dalla lingua madre proviene da uno studio appena pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease condotto in una comunità di suore cattoliche negli Stati Uniti.
Il campione non è stato scelto a caso: le comunità religiose sono spesso formate da persone di diversa nazionalità abituate a viaggiare con un’invidiabile conoscenza di usi, lingua e costumi di molti popoli del mondo. I ricercatori dell’Università di Waterloo hanno analizzato i dati di 325 suore dai 75 anni in su di differenti origini con una buona conoscenza di più di due lingue. Dall’indagine è emerso che solamente il 6% delle suore che parlavano quattro o più lingue aveva sviluppato forme di demenza in confronto al 31% di quelle che comunicavano esclusivamente con la lingua madre. Il multilinguismo fa bene al cervello.
«Il linguaggio è un’abilità complessa del cervello e passare da una lingua a un’altra richiede una grande flessibilità cognitiva. Quindi sembrerebbe giustificato pensare che l’esercizio mentale extra compiuto dai poliglotti parlando quattro o più lingue aiuti il cervello a mantenersi in forma meglio di quanto facciano i monolingue», ha dichiarato Suzanne Tyas a capo dello studio.
Un precedente studio italiano aveva dimostrato, inoltre, che la conoscenza di più lingue oltre a prevenire la demenza, può rallentarne il progresso nel caso in cui ci si ammali. La ricerca condotta dall’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele aveva coinvolto la nostra popolazione bilingue più numerosa: gli altoatesini, in grado di comunicare con la stessa disinvoltura sia in italiano che in tedesco.
Gli scienziati hanno sottoposto a test cognitivi 85 persone malate di Alzheimer, metà bilingui e metà monolingui, scoprendo che nei pazienti bilingui la malattia insorgeva in media 5 anni più tardi rispetto agli altri e che le performance cognitive del primo gruppo erano di gran lunga superiori a quelle del secondo. I ricercatori ritengono che le persone bilingue sviluppino connessioni cerebrali differenti, centralizzate e specializzate che gli risparmiano inutili viaggi nelle aree cerebrali: per comunicare evitano di usare le regioni frontali del cervello, le più vulnerabili all’invecchiamento preservandole così dal declino cognitivo.
Riassumendo: parlare più lingue allontana il rischio di demenza e Alzheimer e, inoltre, nel caso in cui ci si ammali, la malattia progredisce più lentamente. Sembra che gli stessi effetti si ottengano anche con l’uso dei dialetti, soprattutto se sono equiparati alle lingue come il sardo.
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