È la proposta avanzata dal Patto per la Non Autosufficienza con il Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata. Tre azioni da compiere subito, per potenziare l’assistenza domiciliare degli anziani come prevede il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Un Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata per gli anziani non autosufficienti, da avviare già nel 2022. È la proposta sull’assistenza domiciliare formulata dal Patto per la Non Autosufficienza, la coalizione delle principali organizzazioni impegnate nella tutela dell’anziano nata per portare a compimento la riforma nazionale dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tre azioni per trasformare l’assistenza domiciliare già dal prossimo anno
Il potenziamento dell’assistenza domiciliare è, insieme alla riorganizzazione della medicina territoriale, uno dei pilastri su cui si fonda la riforma dell’assistenza alla non autosufficienza prevista dal PNRR. Dunque, con il Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata, il Patto per la Non Autosufficienza indica alcune azioni concrete per attuare la riforma. Da compiere subito per poi ampliarle nel tempo. Infatti, “non si può aspettare l’introduzione – tra il 2023 e il 2024 – della complessiva riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti”.
Il progetto prevede la valorizzazione dell’intera rete dei servizi coinvolti: domiciliari, semi-residenziali e residenziali. E tre azioni principali per renderlo operativo: fornire risposte integrate; cambiare il modello d’intervento dell’Assistenza domiciliare integrata delle Asl (Adi); stanziare maggiori risorse per il Servizio di assistenza domiciliare dei Comuni (Sad).
Una risposta comune ad anziani e famiglie: superare la separazione tra Ministeri e servizi
Per il Patto, la prima azione concreta da compiere è quella di superare l’attuale separazione delle competenze e degli interventi sia a livello locale tra Comuni e Asl, sia a livello nazionale tra i Ministeri del Lavoro e della Salute. Per il Patto serve “una Cabina di Regia nazionale unitaria” che gestisca in modo integrato la programmazione dell’impiego dei fondi a disposizione, il loro utilizzo, la verifica di come sono stati impiegati.
Nei territori, in particolare, il Piano Domiciliarità stabilisce che già il prossimo anno vengano promossi accordi fra i Comuni e le Asl per costituire un’unità di valutazione multidimensionale, dove esaminare le condizioni dell’anziano e individuare gli interventi più adeguati; elaborare un progetto personalizzato integrato, che comprenda il complesso delle prestazioni pubbliche fruite e le raccordi con l’attività dei familiari e delle badanti; individuare il responsabile del caso, punto di riferimento nel tempo per ogni soggetto coinvolto. “Tali indicazioni per i territori – evidenzia il Patto – sono già contenute in numerosi atti, ma risultano inapplicate in molte parti del Paese. È nell’attuazione, infatti, che si giocano i percorsi di cambiamento”.
Un nuovo modello d’intervento per l’Assistenza domiciliare integrata
L’Adi – ricorda il Patto – è il servizio domiciliare più diffuso. Ma a riceverla è solo il 6,2% degli anziani, per una spesa annuale di 1,3 miliardi di euro. “Nei prossimi anni, i fondi cresceranno notevolmente (+ 578 milioni nel 2022 a salire sino a + 1,6 miliardi nel 2026). Per utilizzarli al meglio, però, bisogna cambiare”. Come? Attualmente predomina un modello “prestazionale”: c’è una singola esigenza sanitaria, l’Adi interviene con una singola prestazione di natura medico-infermieristico-riabilitativa.
“Il valore medio di ore erogate annualmente per utente è pari a 18 – spiega il Patto – e il periodo della presa in carico, perlopiù, non supera i 2-3 mesi (come quelli successivi ad una dimissione ospedaliera)”. Dunque, una risposta frammentaria e slegata dall’assistenza a 360 gradi che richiede una persona in condizioni di fragilità. Il Piano Domiciliarità prevede invece di incrementare “l’intensità degli interventi, cioè il numero di visite domiciliari per utente e la loro durata nel tempo (differenziandole in base alle specifiche situazioni)”.
Più fondi per il Sistema di assistenza domiciliare
Il Sad, invece, copre solo l’1,3% degli anziani, per una spesa annuale di 347 milioni di euro. “Il servizio pare così destinato a rimanere residuale – evidenzia il Patto – e l’auspicato sviluppo di risposte integrate a diventare irrealistico, a causa dell’ampliamento del divario quantitativo con l’Adi (nel 2026, ogni 100 Euro per l’Adi se ne spenderanno 12 per il Sad)”.
Dunque, nella Legge di Bilancio 2022, servono risorse aggiuntive. Il Patto le quantifica in: 302 milioni di Euro nel 2022, 373 nel 2023 e 468 nel 2024. “L’utenza, il prossimo anno, raddoppierebbe rispetto a oggi; per poi continuare a crescere progressivamente: 2,6% degli anziani nel 2022, 2,9% nel 2023 e 3,3% nel 2024. Il finanziamento sarebbe legato al riconoscimento del Sad come livello essenziale delle prestazioni” sottolinea il Patto. In questo modo si potrebbe strutturare la presenza nei territori in modo stabile. Si assicurerebbe così uno standard percentuale minimo di anziani raggiunti in tutto il Paese e si garantirebbero alle Regioni che già lo rispettano risorse per incrementare ulteriormente l’offerta”.
Occorre inoltre cambiare il modello di intervento. Oggi non basta essere autosufficienti per accedere al Sistema, ma bisogna anche che la propria rete familiare sia particolarmente carente o che le proprie disponibilità economiche siano esigue. “La prospettiva, invece, è di aprire progressivamente il Sad agli anziani non autosufficienti in quanto tali e alle loro esigenze. Sia nel Sad che nell’Adi, dunque, s’intende compiere un’operazione simile: avviare un processo di superamento del modello d’intervento oggi prevalente (rispettivamente del disagio e prestazionale) per meglio focalizzare i servizi sulla reale situazione di anziani e famiglie”.
© Riproduzione riservata