Anticorpi monoclonali prodotti da piante geneticamente modificate: un’innovazione promettente per la medicina, grazie ai costi ridotti e alla sostenibilità ambientale.
Le piante potrebbero presto diventare le nuove fabbriche di medicinali. Questa non è fantascienza, ma la realtà dei “plantibody”, anticorpi prodotti da piante geneticamente modificate, una tecnologia che sta rivoluzionando la produzione di farmaci biotecnologici.
Un mercato in continua espansione
Il mercato degli anticorpi monoclonali (mAb) è in continua espansione, superando i 200 miliardi di euro nel 2023, con l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) che ha approvato 39 nuovi farmaci, di cui 9 basati su mAb. Ma la produzione tradizionale, basata su colture cellulari di mammifero, è costosa. Ecco perché la ricerca si sta concentrando su sistemi alternativi, tra cui le piante.
“Gli anticorpi monoclonali sono molecole singole che riconoscono con straordinaria precisione uno specifico bersaglio, spesso una piccola porzione di una proteina – spiega Emanuela Pedrazzini dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) -. A differenza degli anticorpi policlonali naturali, i mAb colpiscono un solo bersaglio con precisione, rendendoli farmaci molto efficaci”.
Ingegneria genetica
La tecnologia dei plantibody sfrutta l’ingegneria genetica per inserire nelle piante i geni necessari a sintetizzare specifici anticorpi. La storia risale al 1989, quando si riuscì a produrre anticorpi di classe G (IgG), essenziali per il sistema immunitario, in piante transgeniche. Successivamente, si è riusciti a produrre un anticorpo contro lo Streptococcus mutans, il batterio responsabile della carie dentale. Il Cnr-Ibba ha collaborato con il team inglese del Guy’s Hospital di Londra studiando la sintesi di questo anticorpo nelle cellule vegetali, analizzando i meccanismi interni di queste cellule.
Le piante offrono diversi vantaggi: il loro apparato cellulare per la sintesi proteica è simile a quello dei mammiferi, i costi di produzione sono inferiori e il rischio di contaminazione è minimo. Inoltre, la produzione è anche più sostenibile.
Le tecniche di “umanizzazione” delle cellule
Tuttavia, ci sono delle sfide da affrontare. “Gli anticorpi sono glicoproteine, e le cellule vegetali li modificano in modo leggermente diverso rispetto alle cellule umane – spiega la Dott.ssa Pedrazzini -. Perciò, abbiamo sviluppato tecniche per rendere più simile al nostro il modo in cui le cellule delle piante aggiungono gli zuccheri agli anticorpi. Questa ‘umanizzazione’ crea plantibody più stabili e funzionali”. Un esempio di successo è lo ZMapp, un “cocktail” di anticorpi monoclonali prodotti in piante di tabacco, utilizzato nel trattamento dell’Ebola nel 2014.
Le caratteristiche delle cellule vegetali aprono nuove strade. La Boku University di Vienna, ad esempio, ha sviluppato un sistema che utilizza i corpi proteici dei semi dei cereali come contenitori per trasportare vaccini, un progetto, chiamato PlanOVac, che potrebbe essere utilizzato anche per veicolare anticorpi.
Un futuro in salita
Nonostante i successi, i plantibody non sono ancora ampiamente utilizzati.
Le industrie farmaceutiche hanno investito in sistemi tradizionali, manca una normativa chiara e il dibattito sugli OGM influenza l’opinione pubblica. I ricercatori stanno lavorando per ottimizzare la produzione, migliorare la purificazione e standardizzare i processi, esplorando soluzioni che non richiedono modifiche genetiche permanenti, come l’uso di vettori virali vegetali sicuri e la produzione in ambienti idroponici controllati.
“Questi metodi potrebbero sfruttare appieno il potenziale dei plantibody – conclude la Dott.ssa Pedrazzini -. La strada è ancora lunga, ma la prospettiva di piante biofabbriche che producono farmaci a costi ridotti e in modo sostenibile è una realtà sempre più vicina”.
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