In Plan 75 un Giappone distopico incoraggia gli anziani all’eutanasia come soluzione ad una società invecchiata. Ma il riscatto è nel finale.
Il Cinema non è solo espressione artistica fine a stessa ma anche un mezzo di riflessione sui fenomeni sociali, come nel caso di Plan 75. Questa funzione “pedagogica” emerge chiaramente nella pellicola della giovane regista giapponese Chie Hayakawa che immagina un Giappone futuro (ma non troppo lontano) alle prese con un inarrestabile invecchiamento della popolazione. Impossibile però parlare di fantascienza, dal momento che la narrazione si discosta dal presente solo nell’estremizzazione dell’idea dell’anziano come “peso economico” per la società.
Un welfare al contrario
Il film presentato con successo a Cannes e in Italia racconta di un piano governativo (il Plan 75, appunto) per diminuire la spesa sociale destinata a persone “superflue e improduttive”, ovvero gli anziani. La soluzione? L’eutanasia programmata, gratuita e legalizzata a chiunque superati i 75 anni ne faccia richiesta.
Nella narrazione si muovono 4 personaggi: una pensionata 78enne che non sa come tirare avanti e l’impiegata pubblica che l’accompagna verso la scelta della “dolce morte”. E ancora, un impiegato di Plan 75 che scopre di essere stato contattato da un anziano parente e una giovane infermiera filippina costretta a lavorare in quel luogo di dolore per curare la figlia.
Il Sol Levante non fa più figli
La regista cavalca il sentimento generale per cui l’invecchiamento della popolazione giapponese rappresenta un rischio urgente per la società. Lo ha affermato lo stesso primo ministro Fumio Kishida in un discorso recente, sottolineando il mix di un basso tasso di natalità accompagnato dall’invecchiamento della popolazione. Le 800.000 nascite dello scorso anno, sottolinea, sono infatti insufficienti a garantire il ricambio generazionale e ormai il Giappone “è sul punto di capire se può continuare a funzionare come società”. Del resto secondo la Banca Mondiale il Paese del Sol Levante ha la seconda percentuale più alta al mondo di persone di over 65confi, dopo il piccolo Stato di Monaco
Una riflessione corale
Il tema del film è però universale e pone gli spettatori davanti ad una serie di riflessioni etiche e personali (cosa farò se da vecchio non avrò abbastanza soldi o rimarrò solo? Davvero la morte è l’unico antidoto alla solitudine?). L’insistere dei media sul tema dell’invecchiamento, presentandolo come un problema sempre più contingente, colpisce infatti anche i più giovani, ingenerando ansie e paure. In questo c’è una forte responsabilità della società e della politica nel restituire un’immagine reale dell’anziano. Non un peso, ma una risorsa preziosa per tutte le generazioni, secondo la visione condivisa nelle Zone Blu del Pianeta, non a caso i luoghi dove si vive più e meglio. E oggi minacciati dalla crisi dei valori tradizionali.
Il legame (salvifico) tra le generazioni
L’opera di Chie Hayakawa guarda al futuro ma con gli occhi ben aperti sul presente. Riflette le contraddizioni di un Paese come il Giappone aperto alle tecnologie più avanzate ma con gravi difficoltà a progredire sul lato umano.
Tanta freddezza però è spazzata via nelle ultime inquadrature dal sole che si fa largo tra le nuvole grigie. Un’immagine che suggerisce un finale aperto, nel quale la scelta tra la solitudine e la morte non è l’unica alternativa possibile. Mentre non sfugge allo spettatore il disagio della giovane infermiera filippina che svuota le borse di chi sceglie di “scomparire”. A suggerire che proprio nel legame profondo tra le generazioni sta l’impossibilità di un progetto tanto aberrante quanto disumano.
(Immagine apertura: Chieko Baisho/Tucker Film)
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