La vicepresidente del Parlamento europeo commenta i dati degli ultimi mesi sui femminicidi in Italia. Combattere la cultura patriarcale, investire in progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana tra le azioni da compiere per arginare il fenomeno
I rapporti sessuali non consensuali verranno considerati come stupro. È questa una delle principali misure contenute nella posizione negoziale del Parlamento europeo approvata durante lo scorso mese di luglio in plenaria. A Bruxelles, dunque, si lavora perché i diritti delle donne vengano tutelati. Oltre le norme anche altre azioni possono essere messe in atto dai singoli governi, dal contrasto alla cultura patriarcale alla realizzazione di progetti di rigenerazione urbana soprattutto in zone periferiche. A spiegarlo è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, già deputata del Partito democratico.
Come si combatte la violenza sulle donne?
Da gennaio ad oggi, in Italia, sono stati commessi oltre 80 femminicidi. Un dato allarmante. Come si combatte la violenza sulle donne? La domanda si presta a molteplici risposte. Cominciamo col dire che l’unica, vera, maniera per combattere la violenza sulle donne è eliminare la cultura patriarcale di cui ancora oggi è pervasa in particolare la società italiana. Poi ci sono i compiti specifici dei legislatori. Sia il Parlamento italiano che quello europeo sono attenti e attivi nel proporre soluzioni a questa piaga sociale. Abbiamo un grande strumento a disposizione, la Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha ratificato nel 2013, il più importante strumento giuridico a livello internazionale per il contrasto alla violenza di genere, che indubbiamente deve trovare piena applicazione nel nostro Paese. Ciò ancora non avviene appieno soprattutto per mancanza di risorse, ad esempio per la formazione del personale giuridico o per potenziare le strutture di accoglienza e programmi di sensibilizzazione. In Europa stiamo lavorando ad una direttiva che stabilisca i requisiti minimi per punire e prevenire la violenza contro le donne, strumento ulteriore che a mio avviso potrà dare nuovi strumenti concreti per proteggere donne e ragazze.
Secondo lei, ci sono delle falle nel sistema educativo-culturale? Se sì, quali?
Certamente. La cornice culturale ed etica della lotta contro la violenza di genere è proprio l’educazione. In Italia ma non solo, siamo molto indietro. Assistiamo a preoccupanti fenomeni di povertà educativa generale, al Sud ma non solo, che di certo aggravano le condizioni di regresso civile e democratico. Poi, più nello specifico, l’educazione sessuale, l’educazione all’uguaglianza e alla parità dei generi nelle nostre scuole è molto carente. È un grande investimento che deve essere fatto urgentemente e del quale necessitano tutti i giovani italiani. Purtroppo, lo vediamo quotidianamente e i social ne sono diventati strumento potente di amplificazione. Il machismo e la violenza sembrano non avere limiti e la scuola, ma non solo, deve affrontare questo problema con adeguati strumenti. Credo si debba affrontare questi temi fin dalla scuola primaria, con corsi che devono durare a mio parere per tutto il ciclo scolastico dell’obbligo, affrontando argomenti che non sempre riescono a venir trattati in famiglia.
Come si cambia la cultura in territori di frontiera, recentemente teatro di violenze? Penso alla Sicilia ma anche alla Campania, sua terra di origine
Come dicevo prima, l’educazione è il punto di partenza per sradicare la violenza di genere, che nasce dall’idea patriarcale del possesso dell’uomo sulla donna, come oggetto. Questo ancora di più quando si va nelle periferie emarginate delle nostre città. In questo caso, chiaramente accanto ad un forte percorso educativo, vanno pensati grandi investimenti di riqualificazione, di formazione e di rigenerazione urbana, per poter ristabilire il primato del rispetto e della convivenza civile in zone purtroppo dimenticate da tutti. La violenza di genere è solo uno dei molti problemi presenti in queste aree, ed è imperativo agire con misure di inclusione, perché spesso i fenomeni di marginalità sono interconnessi e dipendenti fra di loro. Ma, come sempre, il prezzo più alto è pagato dalle donne.
I rapporti sessuali non consensuali verranno considerati come stupro. Lo ha deciso a luglio il Parlamento europeo. L’iter sta andando avanti?
Si, dopo il voto in plenaria a luglio scorso stiamo negoziando con il Consiglio un testo comune che possa poi essere approvato definitivamente. Ma, come è noto, il Consiglio rappresenta i 27 governi nazionali. Temo che non tutti siano disponibili ad aderire al principio che la violenza è in ogni caso considerata tale in assenza di consenso, che è la base di una qualsiasi legge contro la violenza di genere che possa definirsi minimamente efficace. Alcuni governi ne faranno una questione identitaria come purtroppo su altre questioni, l’aborto ad esempio, abbiamo già sperimentato. Ma sono fiduciosa. Il largo consenso popolare con il quale è stata accolta la direttiva, l’esigenza di fermare questa mattanza, l’urgenza di una società più giusta ed equilibrata sarà in grado di superare gli ostacoli di chi ancora resiste ai cambiamenti.
Cosa deve cambiare perché le istituzioni si facciano garanti della tutela dei diritti delle donne?
Il cambiamento principale è quello culturale, l’eliminazione di una cultura patriarcale che ancora pervade ogni aspetto della nostra vita, incluso quello istituzionale. Questo è il primo e più importante cambiamento che deve avvenire, se vogliamo che anche le istituzioni siano garanti dei diritti delle donne. Le istituzioni possiedono un portato simbolico che non va sottovalutato. Poi è chiaro che un’istituzione in cui la presenza femminile, a livello politico, amministrativo, di personale è progressivamente paritaria sarà più incline a considerare questa tutela prioritaria. Purtroppo, ancora sfugge che la tutela dei diritti delle donne, la promozione di libertà e opportunità per le donne, vuol dire tutela dei diritti di tutti, vuol dire lavorare per una società migliore per tutti, più libera e inclusiva.
Il Codice Rosso del 2019 è un punto di arrivo o di partenza?
È chiaramente un punto di partenza. Il punto di arrivo sarà quando non ce ne sarà più bisogno perché la violenza di genere sarà stata debellata una volta per tutte. Ma è stato indubbiamente un punto di partenza per migliorare la normativa a tutela delle vittime di violenza. Certamente non è sufficiente, anzi. La direttiva, ad esempio, su cui stiamo lavorando in UE andrebbe a rafforzare ulteriormente queste norme e la protezione delle vittime, cosi come la prevenzione delle violenze. Il Codice Rosso, però, ancora non ha realmente dato risultati concreti se vogliamo andare nel dettaglio: le violenze, infatti, non sono diminuite e ancora non riusciamo a prevenirle attraverso strumenti giudiziari efficaci.
Quali sono le richieste di aiuto che più di frequente arrivano sulla sua scrivania?
Svariate, purtroppo. Vista la mia visibilità e attenzione al problema, vengo spesso approcciata per richieste di ascolto o aiuto, senza travalicare i confini dei miei compiti istituzionali. Una di quelle più frequenti riguarda i casi della cosiddetta sindrome di alienazione parentale, invenzione senza alcun fondamento scientifico, che è una forma secondaria ma subdola di violenza contro le madri all’interno delle diatribe sulla custodia dei figli a seguito di separazione. È veramente scandaloso vedere come mariti e compagni, a volte anche in casi di accertata violenza domestica, tentino pure di togliere i figli alle madri, accusandole di manipolare la volontà dei bambini che non vogliono giustamente stare con un padre violento. Questa teoria, già screditata ampiamente a livello scientifico, viene ancora ingiustamente utilizzata nei tribunali per infliggere alle madri un’ulteriore violenza, nascondendosi dietro a meccanismi legali che non dovrebbero essere acconsentiti in casi di violenza domestica e cause sulla custodia dei minori.
Uguaglianza di genere. A che punto è l’Italia?
Con un punteggio di 65 su 100 punti, l’Italia si posiziona al 14esimo posto su 27 nell’Unione europea secondo l’Indice di Parità di Genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, attestandosi 3,6 punti al di sotto rispetto al punteggio medio dell’UE. Parliamo di numeri, ma che riflettono un’analisi concreta in diversi settori da quello primario del lavoro, alla salute, all’istruzione fino alla presenza femminile nelle posizioni apicali. Il nostro Paese rimane anche fanalino di coda per quanto riguarda l’occupazione femminile, vera piaga sociale in particolar modo al Sud. La pandemia ci ha fatto addirittura arretrare rispetto alla media europea e ancora non si vedono gli effetti del PNRR su questo aspetto fondamentale per l’emancipazione femminile. È necessario che su questo il governo e gli enti locali accelerino sull’attuazione del piano, perché ne va non solo della stabilità economica delle donne ma anche della loro condizione paritaria nella società.
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