La richiesta di un piano per la non autosufficienza è al centro di tutti i documenti e delle proposte avanzate negli ultimi anni dai sindacati dei pensionati, sia del lavoro autonomo che dipendente, in tema di politiche per la popolazione anziana.
È una specificità tutta italiana, dettata dal peso percentuale che gli anziani non autosufficienti (circa 3 milioni) hanno all’interno di questo segmento sociale. Non la ritroviamo, infatti, nelle richieste avanzate di recente, ad esempio, dai pensionati francesi.
Bisogna però sgombrare il campo da un equivoco di fondo. Istituito dodici anni fa, con la Finanziaria 2007, il Piano Non Autosufficienza era stato introdotto come intervento transitorio in vista dell’approvazione di una riforma nazionale da completare, nello stesso anno, con un Disegno di Legge Delega del Secondo Governo Prodi. La conclusione prematura della legislatura, nel 2008, ne bloccò l’iter sul nascere.
Dieci anni dopo, la Legge 147/2017, assegnava al Piano Nazionale sulle politiche rivolte alle persone non autosufficienti specifici ambiti di operatività. Non si tratta, dunque, di un piano complessivo per il settore ma di un atto che programma l’utilizzo di quanto stanziato per il Fondo Nazionale Non Autosufficienza. Tanto è vero che, dalla sua istituzione, siamo giunti oggi all’ottavo provvedimento di riparto delle risorse.
Obbedisce a questa logica anche l’ultimo Piano per la Non Autosufficienza, quello 2019-2021, presentato lo scorso ottobre dal Governo alle parti sociali e alle organizzazioni del Terzo Settore con lo scopo – dichiarato dallo stesso Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali – di “eliminare le diseguaglianze territoriali e costruire un percorso condiviso”.
Sebbene la dotazione iniziale del Fondo Non Autosufficienza (FNA) dai 100 milioni del 2007 sia passata ai 573 milioni di euro del 2019, 571 del 2020 e 568 del 2021, bisogna notare che tali stanziamenti equivalgono ad appena il 2% della spesa pubblica complessiva del settore. In realtà, il Fondo finanzia solo il 20% della spesa per i non autosufficienti dei Comuni (l’ente pubblico che stanzia di meno in questa direzione) e non tocca il Servizio Sanitario Nazionale né l’Indennità di Accompagnamento, che sono i principali canali di intervento pubblico per la non autosufficienza. La revisione del sistema nel suo insieme rimane ad oggi ancora ben lontana.
Fin qui i limiti del piano, rispetto al quale si possono sottolineare alcuni punti di forza espressi dalla rivista Luoghi di cura del Network Non Autosufficienza nell’editoriale Piano nazionale non autosufficienza: un giudizio ambivalente, in attesa della riforma di Cristiano Gori e Franco Pesaresi. Gli autori hanno evidenziato i seguenti punti chiave come “spunti d’interesse da considerare in prospettiva dell’agognata riforma”:
- obiettivi (su base triennale) graduali e sostenibili di sviluppo degli interventi, definiti in modo puntuale e accompagnati da indicatori quantitativi per verificarli;
- progressiva estensione dei destinatari, con l’identificazione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali loro destinati;
- predisposizione di uno strumento nazionale per classificare la disabilità e misurare il bisogno assistenziale, nel quale le Regioni che intendono mantenere i propri strumenti già in uso possono “tradurne” i relativi dati;
- redazione da parte delle Regioni di propri piani, coerenti con quello nazionale. Per assicurare la tempestività dell’iter, le Regioni ricevono i fondi dallo Stato dopo la loro predisposizione.
Lo scopo dichiarato del “Piano per la Non Autosufficienza 2019-2021” consiste nel giungere progressivamente alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni per la non autosufficienza partendo dalle gravissime disabilità, con l’obiettivo di raggiungere successivamente quelle gravi. I tempi, però, non sono ben definiti e, soprattutto, i Livelli sono finanziati esclusivamente attraverso il FNA.
Inoltre, il Piano prevede di sperimentare nel triennio un Livello essenziale riguardante l’erogazione di un “assegno di cura e per l’autonomia” di 400 euro mensili da erogare ai disabili gravissimi assistiti al domicilio o che frequentano i centri diurni. Ma le ridotte risorse del FNA limitano l’intervento a soli 60.000 soggetti.
La portata della previsione è quindi soprattutto simbolica e racchiude l’ulteriore limite, per gli autori, di “sbilanciare le politiche per la non autosufficienza verso prestazioni monetarie a scapito dei servizi alla persona, la cui offerta andrebbe decisamente potenziata”.
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