Approvato in Francia un disegno di legge che limita i prodotti contenenti Pfas, sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche. I Pfas sono un insieme di sostanze chimiche difficili da smaltire e molto nocive per l’uomo e l’ambiente. Uno studio dell’Università di Padova sui rischi per la salute.
Quella avvenuta in Francia con la rinuncia progressiva ai Pfas è una svolta storica. Il governo francese, considerati gli effetti sulla salute, ha optato per un decalage progressivo del loro impiego in moltissimi settori. E lo ha fatto con un disegno di legge che prevede già un primo divieto nel 2026 e un secondo nel 2030, così da dare tempo sufficiente per adeguarsi.
Cosa ha deciso la Francia sui Pfas
La legge approvata in Francia vieta la produzione, l’importazione e la vendita di Pfas in diverse categorie di prodotti di uso quotidiano. A partire dal 1° gennaio 2026, il divieto riguarderà cosmetici, cere per sport invernali e prodotti tessili per l’abbigliamento, comprese le calzature. Dal 2030, invece, il divieto sarà esteso a tutti i prodotti tessili, con eccezione degli indumenti di protezione utilizzati in ambiti professionali come quello militare o dei vigili del fuoco.
Cosa sono i Pfas e dove possiamo trovarli
Le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (Pfas) sono una vasta famiglia di composti chimici sintetici, noti per la loro resistenza al calore, all’acqua e ai grassi. Questa caratteristica li ha resi utili in una varietà di applicazioni industriali e di consumo. Tuttavia, la loro persistenza nell’ambiente e i potenziali rischi per la salute hanno sollevato preoccupazioni a livello globale.
I Pfas si trovano praticamente ovunque: prodotti per la casa (pentole e padelle antiaderenti; tessuti resistenti alle macchie e all’acqua come tappeti, tappezzeria, indumenti; prodotti per la pulizia; cosmetici), imballaggi alimentari (carta e cartone per alimenti resistenti ai grassi, come contenitori per fast food, sacchetti per popcorn), rivestimenti interni di contenitori per alimenti; applicazioni industriali (schiume antincendio; placcatura di metalli; produzione di semiconduttori), ambiente (acqua potabile, suolo, aria) e altri prodotti (alcuni pesticidi, prodotti per la cura personale, materiali da costruzione). La presenza diffusa dei Pfas nell’ambiente è dovuta alla loro persistenza e alla loro capacità di diffondersi attraverso l’acqua, l’aria e il suolo.
Tra i rischi anche le ossa fragili, studio in Veneto spiega perché
L’esposizione prolungata ai Pfas può alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio. Anche per questo rischia di rendere le ossa più fragili. A segnalare il pericolo legato alle sostanze perfluoroalchiliche utilizzate in numerosi prodotti industriali e di consumo è uno studio condotto da ricercatori dell’università di Padova, dell’ospedale di Vicenza e dell’università telematica Pegaso di Napoli, grazie a un finanziamento del Consorzio per la ricerca sanitaria (Coris) della Regione Veneto. Frutto di oltre quattro anni di lavoro, lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Chemosphere. Gli autori hanno analizzato i dati di 1.174 adulti residenti nell’area rossa veneta, da tempo interessata da una contaminazione delle acque potabili. È “confermata l’allerta sulla salute pubblica”, avvertono gli esperti.
L’osteoporosi che compare in giovane età
“Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di Pfas è l’osteoporosi, una maggior fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento, ma che si può già manifestare in giovane età laddove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze”, afferma il coordinatore dello studio Carlo Foresta, professore ordinario di Endocrinologia dell’ateneo padovano e presidente della Fondazione Foresta Ets. Lavori precedenti della sua équipe avevano infatti dimostrato, tra i primi a livello internazionale, una riduzione della densità ossea già clinicamente rilevata in diciottenni dell’area rossa del Veneto.
“Successivamente – prosegue lo specialista – abbiamo spiegato questo effetto dimostrando un’attività negativa dei Pfas sul recettore della vitamina D, ormone che favorisce la calcificazione dell’osso e l’assorbimento intestinale del calcio dalla dieta, nonché un deposito di queste sostanze nell’idrossiapatite, la principale componente inorganica dello scheletro, dove lega il calcio stesso favorendo la solidità ossea”.
Pfas: aumento del calcio nel sangue, possibile segnale di danno osseo
Nel nuovo studio sono stati misurati i livelli di Pfas, calcio, vitamina D e paratormone nel sangue di 655 uomini e 519 donne dell’area rossa veneta, di età compresa tra 20 e 69 anni. Si è così osservato che soggetti con concentrazioni più elevate di Pfas presentavano anche livelli di calcio aumentati.
“Un aumento del calcio circolante – spiega Andrea Di Nisio di UniPd e università Pegaso, primo autore dell’articolo – può essere dovuto a un aumentato assorbimento intestinale mediato dalla vitamina D, a un aumento del paratormone oppure a un maggior rilascio di calcio dai siti di deposito. E il più grande deposito di calcio del corpo umano è proprio lo scheletro”.
Ma “poiché nel nostro studio vitamina D e paratormone non sono modificati, i nostri risultati dimostrano che l’aumento di calcio, anche se ancora entro il range di normalità, può essere segno di un’interferenza dei Pfas a livello dell’osso dove, ricordiamo, i Pfas si accumulano in abbondanza. Un recente studio ha infatti dimostrato che i Pfas inducono un aumento dell’attività degli osteoclasti, le cellule dello scheletro deputate al riassorbimento di tessuto osseo, con conseguente liberazione di calcio e riduzione della densità dell’osso”.
La contaminazione delle acque in Veneto
Questo studio – ricordano dall’università di Padova – si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso l’impatto ambientale dei Pfas, anche alla luce delle recenti evidenze della presenza di questi inquinanti su tutto il territorio nazionale. La contaminazione delle acque nel Veneto, iniziata diversi decenni fa, ha reso evidente come un problema localizzato possa trasformarsi in una questione di salute pubblica, sollecitando ulteriori ricerche e interventi preventivi.
“I nostri risultati – commenta Foresa – ci spingono a riflettere su come un’esposizione prolungata a Pfas, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine. Abbiamo dimostrato che la ben nota associazione tra Pfas e osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta dei Pfas sull’osso con conseguente liberazione di calcio”.
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