Camelia Ion aveva 56 anni e un ex compagno: è stato arrestato con l’accusa di omicidio perché secondo gli inquirenti è sua la mano assassina che ha ucciso la donna a Civitavecchia. Camelia Ion – sì, ripetiamo il suo nome – mentre scriviamo queste righe è l’ultima donna ammazzata quest’anno, in ordine di tempo. Prima di lei è toccato a Celeste Rita, Eleonora, Maria, Martina, Giusi, Roua, Ana Cristina, Lucia, Annarita, Francesca, Lorena, Manuela. E ancora Ignazia, Anna, Giada, Saida, Sofia, Auriane Nathalie, Cristiane Angelina, Shuai, Li, Aneta Katarzyna, Sara, Maria Batista, Renée, Nicoletta. E ancora Annalisa, Ester, Delia, Maria, Rosa. Voglio elencarle tutte perché nessuna di loro deve essere ricordata come un numero: dietro ognuno di questi nomi c’è un volto, una famiglia, una storia. Dietro ognuno di questi nomi c’è una donna che, nella maggior parte dei casi, è stata ammazzata dal marito, dal compagno, dall’ex.
Siamo stanchi. Siamo stanchi di leggere sui giornali di un altro femminicidio (da gennaio a ottobre, in Italia, ne contiamo 32), di leggere di un’altra vita spezzata. Siamo stanchi di leggere che quell’uomo era stato già denunciato, che non avrebbe dovuto trovarsi lì, eppure c’era, di leggere che quella donna ha avuto paura e ha continuato a ingoiare lacrime e botte e non ha mai chiesto aiuto. È la paura che alimenta la violenza. È sulla paura che fa leva il mostro che abita nelle nostre vite. E allora la lotta alla violenza sulle donne deve procedere su un doppio binario. Perché, se da un lato è importante contrastare i soprusi, dall’altro lato è importante denunciare. Si sente spesso parlare di ‘rivoluzione culturale’. È un’espressione che ci piace, che usiamo spesso soprattutto perché ci toglie dall’impasse della responsabilità e dell’impegno immediato, del resto si sa, per fare la rivoluzione occorre tempo. E invece no, noi questo tempo non l’abbiamo perché anche se il numero dei femminicidi è in calo rispetto all’anno precedente, dobbiamo arrivare allo zero e intervenire deve essere una priorità di tutti. Delle scuole, certamente, anche delle associazioni, dei gruppi, delle istituzioni e aggiungo degli scrittori, dei giornalisti, dei musicisti, del vicino di casa e del commerciante di quartiere. Diventare sentinelle per metterci in ascolto di quelle richieste di aiuto anche non pronunciate e di quelle dette sottovoce.
Mi sembra superfluo, oggi, ricordare agli uomini che anche loro devono fare la loro parte nella lotta alla violenza sulle donne. Mi sembra superfluo perché in una società libera e democratica come la nostra non deve esistere distinzione nell’impegno e nella responsabilità. Gli uomini, quindi, devono essere protagonisti attivi della lotta, devono alzare la voce contro ogni forma di maschilismo, devono educare – al pari delle donne – i loro figli al rispetto. Non possiamo permetterci di indignarci solo quando un femminicidio sconvolge l’opinione pubblica. Dobbiamo agire ogni giorno, in ogni ambito della nostra vita. Dobbiamo denunciare, sostenere, proteggere. Dobbiamo costruire una società più giusta, più equa, più libera dalle violenze. La strada è ancora lunga, ma possiamo farcela. Dobbiamo creare un mondo in cui ogni donna possa vivere libera dalla paura, in cui ogni uomo possa essere un esempio di rispetto e di uguaglianza.
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