Nel 2023 il sistema previdenziale dovrebbe confermare la cosiddetta “Quota 103”. L’opzione che prevede la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni di età e 41 di contributi maturati. Rimarrebbe anche l’Ape, l’anticipo pensionistico sociale per i lavoratori in condizioni di disagio.
Qualche aggiustamento è previsto invece per “opzione donna”. Si prospetta, infatti, un allargamento della platea di beneficiarie a tutte coloro che hanno raggiunto i 35 anni di contributi con un’età minima che potrebbe essere alzata. In proposito, il prossimo 5 settembre, è fissato un incontro con i sindacati dell’Osservatorio sulla spesa previdenziale, proprio sulle mansioni gravose e la tutela previdenziale delle donne.
Come nasce l’opzione Quota 103
Quota 103 è una pensione anticipata istituita in via sperimentale per l’anno 2023. Può essere ottenuta, al momento, entro il 31 dicembre in presenza di un’età minima di 62 anni e di una contribuzione minima di 41 anni. Di questi 35 devono risultare al netto dei periodi di disoccupazione indennizzata, malattia e infortunio non integrati dal datore di lavoro.
Come già previsto per la Quota 100 e 102, anche in questo caso si applicano le cosiddette finestre mobili di attesa, che spostano la decorrenza della pensione di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e 6 mesi per i dipendenti pubblici rispetto alla data di maturazione dei requisiti.
L’ipotesi 41 anni di contributi
L’ipotesi di introdurre la possibilità di pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, con il calcolo al 100% contributivo, non è stata ancora completamente accantonata. Tuttavia, non sarebbe utile alle donne che già possono accedere alla pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi, né agli uomini che si ritroverebbero con circa un terzo della pensione, oggi retributiva.
Intanto nel bilancio preventivo dell’Inps per il 2023 si evidenzia un aumento delle uscite per prestazioni di 14,26 miliardi. Una somma dovuta principalmente alla distribuzione delle pensioni. Insomma l’Italia, insieme alla Grecia, resta il paese europeo con più alta incidenza di spesa in proporzione alla ricchezza prodotta, in un momento storico in cui pensioni e stipendi fanno i conti con l’inflazione più alta degli ultimi trent’anni.
Rivalutazione delle pensioni
Dallo scorso luglio, intanto, oltre un milione di pensionati ha iniziato a ricevere la maggiorazione disposta dalla Legge di Bilancio come misura urgente per contrastare l’aumento dei prezzi. L’importo minimo è stato ricalcolato da 563,74 euro mensili a 572,20 euro, con gli arretrati del periodo gennaio-maggio.
L’aumento riconosciuto da gennaio e comprensivo di tredicesima è dell’1,5% per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo. Per gli over 75, però, si arriva a un aumento del 6,4% (da 563,74 a 599,82 euro). Dal 2024 l’incremento previsto sarà invece del 2,7% a prescindere dall’età.
A ciò si aggiunge la maggiorazione derivata dall’adeguamento al 100% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, applicata agli assegni fino a 2.101,52 euro (quattro volte il trattamento minimo). A chi percepisce pensioni più elevate sono accordati aumenti progressivamente inferiori sulla base di sei nuovi scaglioni: 100%, 85%, 53%, 47%, 37% e 32%.
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