Non solo stipendi inferiori, ma anche pensioni ridotte rispetto a quelle degli uomini. Anche dopo una vita di lavoro, per le donne non sembra esserci parificazione visto che percepiscono pensioni più basse. D’altra parte, carriere discontinue e salari più bassi, anche a parità di mansioni rispetto agli uomini, non possono che influire negativamente sul reddito pensionistico. Di conseguenza finiscono per percepire pensioni meno sostanziose. Motivo per cui sono anche maggiormente esposte al rischio povertà.
È una situazione che sembra accomunare tutti i Paesi dell’Ue secondo la rilevazione Eurostat. Nel 2019, le donne nell’Unione Europea di età superiore ai 65 anni hanno percepito una pensione mediamente inferiore del 29% rispetto a quella degli uomini. Tuttavia, col tempo il divario pensionistico di genere è diminuito e nel 2019 è stato inferiore di quasi 5 punti percentuali rispetto al 2010 (34%).
Divario pensionistico: in Italia è in crescita
Sebbene le donne ricevano pensioni più basse in tutti gli Stati Membri dell’Ue, l’entità del divario varia notevolmente. La differenza maggiore è stata osservata in Lussemburgo, dove le donne di età superiore ai 65 anni ricevevano il 44% in meno di pensione rispetto agli uomini. Il Lussemburgo è seguito da vicino da Malta e Paesi Bassi (entrambi 40%), Cipro (39%), Austria (37%) e Germania (36%).
E in Italia? Il divario pensionistico di genere è superiore alla media europea ed è addirittura in crescita. Le donne, infatti, percepiscono una pensione inferiore del 33.2% rispetto agli uomini. Nel 2018 era del 32%. Rispetto a 10 anni fa, il divario è aumentato di 2 punti percentuali. Era infatti al 31.1%.
In quale Paese si riscontra la minor differenza? La disparità minore si è registrata in Estonia (2%), seguita da Danimarca (7%), Ungheria (10%), Slovacchia (11%).
Rispetto al 2010, il divario pensionistico di genere è diminuito nella maggior parte degli Stati Membri dell’Ue. Le diminuzioni più evidenti sono state registrate in Grecia (ridottosi di 13 punti percentuali, dal 37% nel 2010 al 24% nel 2019), Danimarca e Slovenia (entrambi -11 punti percentuali) e Bulgaria (-10 punti percentuali).
Al contrario, il divario pensionistico di genere è aumentato in 6 Stati Membri dell’Ue dal 2010. L’aumento più significativo è stato osservato a Malta (con + 18 punti percentuali, dal 22% nel 2010 al 40% nel 2019), seguita dalla Lettonia (+6%) , Lituania e Slovacchia (entrambe +3%) così come Croazia (+2%) e, come si diceva, in Italia.
Un pensionato su 7 a rischio di povertà nell’Ue
Nel 2019, la percentuale di pensionati di età superiore a 65 anni a rischio di povertà nell’Ue si è attestato al 15,1%, leggermente al di sopra della cifra del 14,5% nel 2018. A differenza del divario pensionistico di genere, il tasso di rischio di povertà per i pensionati è aumentato invece gradualmente dal 2014, quando era al 12,3%.
In tutta l’Ue nel suo insieme, tra il 2010 e il 2019, la percentuale delle donne in pensione con oltre 65 anni a rischio di povertà è stata superiore del 3-4% rispetto a quella degli uomini pensionati. Lo si vede anche nel grafico sottostante.
Nel 2019, la percentuale di pensionati di età superiore ai 65 anni ritenuti a rischio di povertà era compresa tra il 10% e il 30% nella maggior parte degli Stati Membri dell’Ue. I quattro Paesi con un tasso di rischio di povertà superiore al 30% nel 2019 sono stati Lettonia (54%), Estonia (51%), Bulgaria (36%) e Lituania (35%). Al contrario, i tassi più bassi nel 2019 si sono registrati in Lussemburgo (7%), Slovacchia, Francia, Danimarca (tutti 9%) e Grecia (10%).
Rischio povertà in Italia
In Italia, nel 2019, si è registrato un rischio povertà dell’11,8% tra i pensionati. Valore simile rispetto all’anno precedente e con qualche progresso a confronto con il 2010 quando era al 13,4%. C’è da notare però che, sebbene le donne italiane percepiscano pensioni più basse rispetto agli uomini, presentano un rischio povertà inferiore se paragonato ai maschi over 65. Infatti, nel 2019 per le donne è del 10,7% e per gli uomini del 12,6%, identico rispetto a quanto rilevato nel 2010 quando per le donne era decisamente superiore, ovvero al 14,5%.
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