La conferma arriva dalla Corte di Giustizia dell’Ue dopo il ricorso di due pensionati pubblici che hanno spostato la residenza in Portogallo.
Godersi i frutti della pensione grazie a una tassazione più favorevole rispetto a quella italiana, è la principale motivazione che spinge molti pensionati italiani verso un Paese estero. Senza voler emigrare troppo lontano, negli ultimi anni ha riscosso un grande successo il Portogallo (con oltre 2.000 pensionati trasferiti). Si tratta di un Paese Ue che ha introdotto un particolare regime fiscale di vantaggio per i pensionati, che permette di ottenere la tassazione al 10% per i pensionati esteri, per i primi 10 anni di residenza nel Paese. Il trattamento fiscale, però, non è uguale per tutti i pensionati.
Di fatto, un pensionato del settore privato che trasferisce la propria residenza su territorio lusitano potrà richiedere all’Inps la pensione lorda, senza trattenute di alcun genere. La stessa cosa, però, non è valida per i pensionati del settore pubblico che, pur trasferendosi in Portogallo, vedranno la propria pensione tassata “all’origine” dall’Istituto di previdenza. Una disparità di trattamento che, secondo due ex dipendenti pubblici italiani, sarebbe causa di una violazione delle norme Ue sulla libera circolazione e non discriminazione. Un caso sul quale è stata chiamata in causa la Corte di Giustizia Europea.
La vicenda
Due pensionati italiani, ex dipendenti del settore pubblico, usufruiscono di una pensione erogata dall’Inps. Dopo aver spostato la loro residenza in Portogallo, nel 2015 hanno chiesto all’Istituto di previdenza sociale di ricevere la cifra lorda della loro pensione senza il prelievo d’imposta alla fonte da parte del nostro Paese, in applicazione della convenzione italo-portoghese contro le doppie imposizioni. In questo modo avrebbero potuto beneficiare delle agevolazioni fiscali offerte dallo stato iberico.
L’Inps ha però respinto le loro domande e ha precisato che questa normativa si applica solo ai pensionati italiani del settore privato che hanno spostato la loro residenza in Portogallo. Inoltre, la stessa normativa è valida per gli ex lavoratori italiani del settore pubblico, i quali abbiano acquisito la cittadinanza portoghese oltre ad aver trasferito la loro residenza nel Paese iberico. I due pensionati hanno fatto, quindi, ricorso alla Corte dei Conti della Regione Puglia che a sua volta ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia UE chiedendo di pronunciarsi circa il fatto se il regime tributario italiano derivante dalla convenzione costituisca un ostacolo alla libera circolazione dei pensionati italiani del settore pubblico e una discriminazione in base alla cittadinanza.
La sentenza della Corte è arrivata il 30 aprile e ha respinto le rimostranze dei pensionati ribadendo che, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, gli Stati Membri sono liberi, nel quadro di convenzioni fiscali contro le doppie imposizioni, di stabilire i criteri di ripartizione tra loro della competenza fiscale; i trattati non hanno, invece, lo scopo di garantire che l’imposta applicata in uno Stato non sia superiore a quella di un altro Stato. Conseguentemente, spiega la Corte UE, gli Stati Membri, possono ripartire la competenza tributaria sulla base di criteri quali lo Stato pagatore o la cittadinanza: è pertanto legittimo che agli ex dipendenti pubblici italiani che vivono in Portogallo sia richiesta la cittadinanza portoghese e non soltanto la residenza in Portogallo – come invece richiesto agli ex dipendenti privati – per ottenere la pensione lorda dall’Italia. La Corte Ue ha in pratica confermato il quadro giuridico attuale.
La vicenda assume un certo rilievo visto che attualmente sono solo quattro, e tutti extracomunitari (Tunisia, Australia, Cile e Senegal), i Paesi esteri dove il pensionato italiano, ex dipendente pubblico, in base alle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali, può ricevere la pensione al lordo del prelievo fiscale Irpef con il solo trasferimento della residenza.
Sospeso l’accertamento dell’esistenza in vita
A causa della pandemia da COVID-19, con il messaggio 19 marzo 2020, n. 1249, l’Inps ha comunicato la sospensione delle attività di accertamento dell’esistenza in vita riferite al 2019 e al 2020 per i pensionati residenti all’estero. La sospensione è stata decisa al fine di salvaguardare la salute dei pensionati e di tutti i soggetti coinvolti nell’attività di verifica.
Nel precisare che qualunque decisione potrà essere rivista alla luce dell’evoluzione della situazione epidemiologica internazionale in atto, l’Inps ha comunicato il nuovo calendario della seconda fase di verifica che inizierà con l’invio delle richieste di attestazione dell’esistenza in vita ai pensionati nel corso di agosto 2020. Tali attestazioni dovranno pervenire a Citibank (l’Istituto bancario che esegue i pagamenti esteri per conto di Inps) entro dicembre 2020.
Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta entro il termine stabilito, il pagamento della rata di gennaio 2021, laddove possibile, avverrà in contanti presso le agenzie Western Union del Paese di residenza. In caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro la seconda metà di gennaio 2021, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di febbraio 2021.
Per approfondimenti in merito all’argomento trattato e per qualsiasi problematica di natura previdenziale, il Patronato 50&PiùEnasco fornisce tutta l’assistenza necessaria.
Gli esperti di 50&PiùEnasco che curano questa Rubrica sono:
Paolo Daprelà, Filomena Ianni, Daniela Toschetti.
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