Carlo Nesti, tra i più famosi telecronisti, racconta le trasformazioni di questo primo quarto di secolo e commenta: «Ci sarà sempre un bambino che prenderà a calci un pallone finché esisterà l’uomo»
I primi 25 anni del XXI secolo sono stati vissuti tra attese e sorprese anche nel mondo dello sport. È stato un periodo di forti cambiamenti, ma l’entusiasmo e l’interesse degli appassionati sembrano rimasti intatti anche di fronte ad un mondo che ha scelto di aprirsi alle logiche del guadagno e dello spettacolo, abbandonando in parte le norme ferree della regolarità agonistica. Carlo Nesti, una delle più illustri firme del giornalismo sportivo targato Rai, offre a 50&Più la sua analisi.
Nesti, da sempre il mondo dello sport sembra quasi vivere in un eterno presente, eppure in 25 anni tante cose sono cambiate.
Sicuramente un dato molto significativo è il fatto che nelle prime 50 posizioni delle trasmissioni più viste in tv ci sono ben 47 partite di calcio. Quindi è chiaro che l’interesse per questo sport è forte, 25 anni fa come oggi. Però devo dire che quello che era una volta il giocattolo della domenica pomeriggio è diventato oggi un colosso inquietante. Parlo naturalmente dell’aspetto economico. A livello di spese, in Italia, nella serie A di calcio abbiamo una media dell’83% del fatturato delle società che finisce nelle tasche dei dipendenti, cioè giocatori e procuratori. Ora, se un’azienda di qualsiasi altro settore facesse una cosa del genere, fallirebbe nel giro di un mese. Ecco, questo per dare l’idea di che cosa in pochi lustri sia diventato il calcio, uno spettacolo, e lo dico con tanta malinconia, che al 75% è business e solo al 25% gioco.
Nonostante tutto questo, lo sport rimane, ieri come oggi, qualcosa che dà emozioni forti.
Questa è anche un po’ la schiavitù dello sport, nel senso che la passione dei tifosi va comunque ad alimentare il sistema. Ma non dobbiamo dimenticare all’origine c’è lo sport di base. In Italia, se guardiamo all’impiantistica sportiva, c’è ancora una evidente carenza. E nonostante questo nelle ultime Olimpiadi di Parigi abbiamo conquistato ben 40 medaglie. Grande successo anche delle Paralimpiadi, che sono diventate anche un evento televisivo, e questo credo che sia bellissimo.
Questi ultimi 25 anni ci hanno dato modo di ammirare l’uomo più veloce del mondo: Usain Bolt.
È verissimo. Il giamaicano Bolt è davvero uno dei simboli sportivi di questi ultimi 25 anni. Ma anche qui l’Italia ha risposto alla grande: siamo andati a vincere una medaglia d’oro con Marcel Jacobs nei 100 metri piani nelle Olimpiadi di Tokyo e lo stesso abbiamo fatto nella staffetta 4 x 100. Ma in questa panoramica non possiamo dimenticare il tennis, uno sport nel quale fino a qualche anno fa eravamo scomparsi. Poi con Jannik Sinner sono arrivate due storiche vittorie nella Coppa Davis. Credo che l’altoatesino sia il volto perfetto di questi 25 anni, dato che è nato il 16 agosto 2001, proprio all’inizio del periodo che stiamo analizzando. Ma non dimentichiamo i grandi campione che negli ultimi anni ci hanno lasciato: Riva, Rossi, Schillaci e altri. Essi continuano ad essere modelli per i giovani, ai quali dico sempre che per guardare al futuro bisogna conoscere il passato. Questo vale per la storia del mondo e anche per la storia dello sport.
In 25 anni lo sport sta parlando anche sempre di più al femminile?
Sì, è impossibile fare tutti i nomi, dalla Pellegrini nel nuoto alla Goggia nello sci, ma anche le tenniste e le pallavoliste che hanno vinto l’oro olimpico con il mitico coach Julio Velasco. Ed è questa la vera grandissima novità: l’avanzata impetuosa in vari settori agonistici delle donne. E questo è un aspetto molto positivo, perché sappiamo che la condizione della donna non è certo facile oggi, però le ragazze hanno una grande forza interiore e proprio nello sport stanno facendo cose che prima erano inimmaginabili.
Stiamo raccontando lo sport degli ultimi 25 anni, ma come saranno i prossimi 25?
Con un’evoluzione così veloce, mi riesce difficile immaginare lo sport dei prossimi 25 anni. Come anziano, faccio fatica a essere ottimista, ma penso poi che c’è sempre stata una contrapposizione fra generazioni. L’anziano non capisce i comportamenti dei giovani e viceversa. Pur essendo in pensione, continuo a lavorare nel giornalismo. Mi sforzo a guardare il gioco per quello che è. Voglio continuare a vedere lo sport in questa maniera, anche se mi rendo conto che la cornice è cambiata.
Non dimentichiamo, Nesti, che c’è uno sport di chi non sarà mai un campione. Ci sarà sempre un bambino che prende a calci un barattolo pensando di imitare il suo campione preferito.
È vero, sarà così finché esisterà l’uomo. Purtroppo non c’è più la strada, non ci sono gli oratori. Oggi l’attività agonistica si fa in impianti privati e tutto ciò implica un costo per le famiglie. Questo è un aspetto che non mi piace, perché compromette la libertà del gesto, però è un cambiamento a cui dobbiamo adattarci. L’importante è che gli spazi per lo sport continuino ad esistere. E proprio nel Sud Italia, dove c’è una carenza di impianti, nascono continuamente campioni. È un miracolo che ci fa continuare a dire sempre: «W lo sport».
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