Pasqualino Fadda. Pensionato della pubblica amministrazione. Partecipa al Concorso 50&Più da alcuni anni; nel 2008 e 2010 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa e nel 2011 ha vinto la Farfalla d’oro sempre per la prosa. Vive a Oristano.
Da piccolo ho conosciuto e amato le ferrovie complementari della Sardegna che comprendevano diversi rami ferroviari che dal 1888, hanno consentito che le zone più disparate della nostra isola uscissero da un isolamento forse millenario e le popolazioni hanno potuto usufruire di questo mezzo moderno ma allo stesso tempo pieno di quel romanticismo che ha fatto sognare i nostri avi.
No poche infatti sono le poesie che i vecchi poeti estemporanei hanno cantato sui palchi delle feste patronali e hanno dedicato ai treni lodi e apprezzamenti quando erano latori di un ritorno a casa delle persone amate e biasimi quando se li portava via verso le guerre o verso l’emigrazione.
Da grande mi ero preposto di lavorare nelle ferrovie, guidare uno di quei treni che sbuffando sui binari lucidi vedevo passare vicino ad un nostro podere e mi infondevano un senso di libertà.
Quella speranza non si è avverata ma la strada del destino mi ha portato a fare altri percorsi che sono stati lo stesso entusiasmanti, la sorte mi ha portato a fare un lavoro che per molto tempo ho svolto anche a contatto con i treni a lunga percorrenza, con le dirigenze, con i conduttori e con le varie maestranze nelle grandi stazioni di confine, nei porti e negli aeroporti e così è stata gratificata anche la mia passione giovanile per le strade ferrate.
La mia vita lavorativa si e svolta per quasi 40 anni nelle fila delle Fiamme Gialle, oggi in pensione , non per mera nostalgia ma perché i ricordi fanno parte della mia vita passata tra nel Corpo ogni tanto riaffiorano volando agli anni lontani della mia gioventù.
Con l’avvento dell’era digitale, dei Social Network, ho rincontrato virtualmente vecchi colleghi conosciuti alla stazione di confine di Prosecco vicino a Trieste sulla frontiera ex Jugoslava dove in quei tempi arrivavano decine di treni carichi di bestiame vivo di ogni razza e passavamo notti intere lungo i binari a spuntare i vagoni riscontrandoli con i documenti doganali.
Appena fatto giorno le bestie stremate per il lunghissimi viaggi dall’ex cortina di ferro, la Bulgaria, l’Ungheria e la Romania venivano scaricate rifocillate e sottoposte a visita sanitaria e doganale.
Ho rincontrato vecchi colleghi conosciuti alla stazione dei Ponte Chiasso al confine con la Svizzera dove facevamo i controlli doganali nei confronti di passeggeri provenienti dalla Confederazione Elvetica e dai paesi del nord Europa, per la maggior parte emigranti italiani del meridione d’Italia e molti miei conterranei che ritornavano nelle loro famiglie per le festività natalizie e per le vacanze estive, con le loro voluminose valige.
Quando arrivavano in terra italiana, alla vista delle nostre uniformi i loro volti gioivano nel sentire il tono familiare della nostra lingua e respiravano a pieni polmoni l’aria natia che forse a malincuore avevano lasciato. Qualcuno lo vedevamo timoroso per qualche esubero nei generi consentiti da portare a casa ma la nostra esperienza era tale ed eravamo consapevoli che il danno per l’erario non era quella stecca di sigarette o quella cioccolata che portavano in eccedenza per la gioia dei loro figlioli o per i parenti ed amici in patria che con ansia aspettavano il ritorno. Al nostro Ok ci salutavano contenti.
Spesso, commentando i post, le foto delle vecchie caserme, dei colleghi, dei cani Anticontrabbando in questo incredibile mezzo virtuale mi è capitato di rievocare i distaccamenti dislocati sui monti Lariani.
Una di queste caserme ormai definitivamente chiusa era quella intitolata a Boi Filiberto, Fiamma Gialla caduta in combattimento durante la Grande Guerra; dipendeva dalla compagnia di Cernobbio e se ne parlato molto, forse perché era la più disagiata di tutte, per arrivarci c’era una sola mulattiera, non c’era corrente elettrica né acqua potabile ma tutti ricordano ancora quel posto ed i sacrifici fatti come una palestra e una scuola di vita.
Era ubicata sullo spartiacque delle Prealpi lombarde monti che avevano ispirato scrittori e poeti e godeva infatti di una visuale bellissima del Lario da una parte e dall’altra una rigogliosa vallata ove passava la linea di confine con la Svizzera.
A metà del declivio era posto l’ex distaccamento Boi Filiberto che una volta sola ho avuto modo di visitare; essendo questo sfortunato finanziere un mio conterraneo, entrando nel rudere della caserma ebbi una sensazione di amarezza come se qualcosa di familiare si stesse perdendo sopraffatta dall’incuria e dal tempo. Purtroppo il suo destino era segnato come per tante altre caserme ubicate tutte sul crinale di quei monti come vedette insonni a difesa dei sacri confini, una volta popolate da schiere di giovani finanzieri. .
Benché sia stato la su per poco tempo quei posti non li ho mai dimenticati, del povero Filiberto Boi, appurai solo che era nativo di Serri, un paesino del centro Sardegna, arruolato nella Guardia di finanza e giovanissimo sacrificò la sua vita per la Patria e per la sua abnegazione fu decorato di medaglia d’argento al valor militare.
Dopo tantissimi anni ormai in pensione sono ritornato a vivere nella mia isola e una domenica di primavera me ne andavo a spasso con mia moglie senza una meta precisa; arrivammo nella zona del paese di Mandas, mentre seguivamo una strada che costeggiava una ferrovie delle Strade Ferrate Sarde ormai fuori uso notai una vecchia stazione abbandonata lontano da ogni centro abitato, non conoscevamo quei posti ma per la mia passione giovanile ci fermammo per curiosare.
Le porte erano sprangate e tutto era deserto e desolato, c’era solo il marciapiede invaso dalle erbacce e i binari ormai arrugginiti. Non si vedevano insegne, andai avanti sul marciapiede e nel mentre riflettevo tra me e me alle sbuffanti vaporiere e a quanta gente dei paesi circostanti che vedevo in lontananza fosse partita da quella stazione ai tempi della sua prosperosa attività, e a quanti non erano più ritornati lasciando in lacrime mamme e spose.
Con questi pensieri arrivai al termine dello stabile guardai in alto e a stento in un cartello in lamiera deformata dall’ossido e dal tempo si leggeva: -STAZIONE DI SERRI. Il cuore mi batté forte, era un nome a me familiare, chiamai mia moglie che era assorta dalla circostante natura incontaminata e dalle rondini che avevano colonizzato la vecchia grondaia della stazione; con voce rotta dall’emozione le dissi:- “E’ la stazione di Serri da qui è partito Boi Filiberto verso il suo tremendo destino di giovane Fiamma Gialla, morto in qualche trincea durante la grande guerra, stringendosi al petto i suoi anni verdi e mai più ha rivisto questi posti che aveva nel cuore.”
Ho visto scorrere nella mia mente la figura di Boi Filiberto pieno di speranza nel fiore dei suoi vent’anni, età di quando anch’io giovane brigadiere moltissimi anni prima ebbi modo di visitare con grande emozione il distaccamento a lui intitolato.
Anche mia moglie si emozionò ed il suo cuore di mamma non gli consentì di trattenere una lacrima.