Fausto Felice Pasotti. È nato a Milano, dove vive e lavora. Laureato in ingegneria elettronica, si è occupato di pianificazione strategica, merger and acquisition, relazioni esterne, marketing, sistemi informativi e innovazione nel settore aerospaziale, nell’editoria, nell’informatica e nell’education e dopo avere aiutato a nascere un centinaio di startup in veste Direttore Generale dell’incubatore di Bocconi applica le sue capacità creative e managerali nel terzo settore. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta.
Ravi Shankar levitava tranquillo per le vie del centro.
Quei trenta centimetri che lo separavano dalla pavimentazione gli evitavano la spiacevole sensazione di freddo ai piedi che spesso affliggeva gli agenti di pattuglia.
La maggior parte dei cittadini preferiva invece camminare. Fare shopping sospesi a mezzaria non era l’ideale, soprattutto per le signore che avevano difficoltà a concentrarsi sugli articoli esposti in vetrina.
D’altro canto, si trattava di una tecnica piuttosto recente e la maggior parte degli individui faticava ancora a governarla mentre era dedita ad altra attività. Tutti gli agenti di polizia, invece, avevano avuto un training approfondito e ormai per loro camminare o levitare era del tutto indifferente.
Shankar dall’alto dei suoi 52 anni aveva fatto in tempo a conoscere la vita vecchio del mondo e poteva apprezzare a pieno i vantaggi del nuovo.
Norma Kaukonen, lo scienziato cui si doveva questa rivoluzione, diceva che l’essere umano stava sfruttando ancora solo il trenta percento del potenziale del suo cervello e che grandi cambiamenti avrebbero influenzato lo sviluppo della razza umana grazie alla fusione della cultura dell’occidente con quella dell’oriente. Autoguarigione, metaformismo, immortalità, onniscienza, mai l’uomo era stato così vicino a toccare Dio con un dito.
Uno swing cominciò a suonare nel suo cervello.
Era il tono della Centrale. Ravi accettò mentalmente la chiamata e nella sua mente cominciò a tuonare la voce del Capitano Mallory.
“Shankar!”
“Comandi!” rispose Ravi a voce alta, alla risposta mentale non si era ancora del tutto abituato.
“Dove sei?”
“In centro, vicino al Castello…”
“Comodo il signorino, eh? Bei negozi, belle donne. Abbiamo un 384…” “Impossibile! Un 384?” lo interruppe quasi urlando Shankar. Qualche passante si voltò a guardarlo infastidito.
“Sì un 384, una morte violenta”.
“Ma saranno almeno dieci anni che…”
“Dodici per l’esattezza”.
“Un omicidio?”
“Sei tu il detective. Vai e indaga. Ti ho già inviato le coordinate. Tienimi fuori dai piedi la stampa e chiunque altro cerchi di inquinare le prove”.
Un blimp mentale lo avvisò che il Capitano aveva chiuso la comunicazione. Mentre il suo cervello andava in fuorigiri nel tentativo di arginare la profonda emozione che gli stava causando la notizia di un omicidio, Shankar si collegò mentalmente al sistema e gli fece calcolare il piano di volo.
Ora veniva la parte davvero difficile.
Nonostante avesse seguito un ciclo di dodici lezioni teoriche, che spiegavano nei dettagli i principi scientifici su cui era basata, la trasmigrazione extracorporea istantanea, restava per lui una sorta di magia nera.
Resa disponibile dagli scienziati meno di tre anni prima aveva già rivoluzionato il modo di vivere di miliardi di persone. Parigi New York in cinque secondi netti con un consumo energetico equivalente a un hot dog e senza l’ausilio di alcun macchinario. Il suo vicino di casa, ad esempio, aveva trovato lavoro a 3.000 miglia da casa, ma la sera rincasava prima di quando doveva percorrere quindici miglia di tangenziale in auto, perennemente in coda.
La Terra era diventata incredibilmente piccola e oltretutto pulita, senza più tutti i motori a combustione coi quali l’umanità era giunta ai limiti dell’estinzione. Certo alcune delle industrie più importanti del pianeta si erano estinte come i dinosauri: produttori di mezzi di trasporto, apparati di telecomunicazioni e relativi indotti, ma siccome le risorse creative dell’uomo sembravano davvero infinite, nuovi business e nuovi lavori erano già all’orizzonte e c’era già chi aveva cominciato a costruire villaggi vacanze sul Mare della Serenità della Luna, anche se di acqua lassù non ce n’era nemmeno una goccia.
Ravi Shankar chiuse gli occhi, allontanò dalla mente tutti quegli inutili pensieri e si concentrò sulla procedura di trasmigrazione. L’aveva eseguita ormai centinaia di volte, ma detestava quel maledetto senso di vuoto allo stomaco che rischiava ogni volta di farlo vomitare.
Swoosh.
Il sistema di controllo visualizzò la dicitura “Operazione completata in 0,12 secondi”.
Ravi aprì gli occhi. Si trovava sul marciapiede di una via anonima, davanti al portone del numero dieci. Si scrollò di dosso la sgradevole sensazione di nausea e entrò con passo deciso. Si trattava di uno stabile così vetusto da non avere nemmeno l’ascensore. L’appartamento si trovava al terzo piano. Ravi cominciò a salire gli scalini a due a due, la nausea gl’impediva di sopportare il dondolio tipico della levitazione e la trasmigrazione non consentiva per motivi energetici di passare attraverso i corpi solidi.
Al terzo piano c’erano già un paio di colleghi. Li conosceva solo di vista. I due videro dalle sue mostrine che Shankar era un detective e sorrisero.
“Voglio proprio vedere cosa ne deduce una testa d’uovo… Per di qua, amico”. Gli agenti operativi detestavano i detective per i privilegi che erano loro concessi. Ravi era abituato ai commenti salaci dei colleghi e non vi fece nemmeno caso. La nausea era passata, ma non il vuoto allo stomaco. Era la prima volta che aveva a che fare con un caso di morte violenta, il primo da dodici anni.
Ravi Shankar seguì il collega in un lungo corridoio che terminava in una biblioteca.
Sull’unico muro non occupato dalle alte librerie c’era un uomo incastonato nel muro.
Ravi non avrebbe saputo descrivere in altro modo la sua postura.
La maggior parte del corpo era nascosta dal muro dal quale fuoriuscivano solo l’ovale del viso, la mano sinistra, tre dita dell’altra, il ginocchio sinistro e la punta della scarpa destra.
L’uomo aveva il volto atteggiato in una smorfia di dolore, la bocca aperta come se stesse urlando e gli occhi spalancati.
Niente sangue.
Sembrava lo Ian Solo di Star Wars incastrato nella grafite.
“Un’esecuzione mafiosa. Colato nel cemento… Che ne dici detective?” commentò l’agente.
Ravi Shankar era diventato pallido come la luna di gennaio, quando i suoi raggi si riflettono sui prati coperti di brina.
“Che hai, è forse troppo per il tuo stomaco delicato?” lo incalzò l’agente. “L’hai riconosciuto?” sussurrò Shankar.
“No, avrei dovuto?”
“È Norma Kaukonen”.
“Lo scienziato della trasmigrazione?” chiese sbalordito l’agente “Ma era un genio, un benefattore, chi… chi poteva odiarlo tanto da ammazzarlo in un modo così atroce?”
“Nessuno. Ha fatto tutto da solo”.
“Cosa? Ma… è impossibile! Come diavolo ha fatto a finire lì in mezzo? La trasmigrazione non funziona nei corpi solidi. Lui che l’aveva scoperta lo sapeva bene”.
Ravi Shankar sorrise.
“Niente è come appare e per uno come lui nulla era definitivamente impossibile, anche se era stato lui stesso a tracciarne i limiti. Forse non sapremo mai cosa avesse in mente mentre tentava di passare attraverso questo muro, né di come pensava di riuscirci”.
“Come tutti i geni si vede che era un po’ matto. Deve essere stata una morte atroce”.
Ravi Shankar avrebbe voluto rispondere che era grazie ai pazzi con Kaukonen che la Vita andava avanti.
Uscì dall’appartamento e scese in strada.
Il sole brillava alto nella fredda giornata di gennaio.
Inspirò a fondo l’aria pulita e ringraziò Dio per aver avere creato uomini come Norma Kaukonen.