Silvana Pasinetti. Dice “dentro di me, nella profondità del vivere, sento il bisogno di esprimermi e di condividere l’abbraccio che coglie tutti”. Partecipa al Concorso 50&Più dal 2003; nel 2004, 2005, 2007, 2009, 2010, 2011 e 2012 ha vinto la Menzione speciale della giuria per la prosa e nel 2004, 2006, 2008 e 2020 per la poesia. Vive a Catania.
Da piccola sovente trascorrevo le vacanze scolastiche con i nonni paterni a Treviglio, un grazioso paese non lontano da Milano dove vivevo con papà, mamma e sorelline. Quell’anno, durante la quaresima, in una povera famiglia di quel paese, venne a mancare a soli quarantacinque anni, la mamma di cinque figli, da tempo sofferente per un tumore.
Data l’indigenza, le due bambine minori di Maria Giovanna trovarono accoglienza in un orfanotrofio, convento gestito da amabili suore. Il figlio maggiore rimase con il padre, dedito al modesto lavoro di riciclo dell’usato; mentre la figlia grandicella venne a lavorare nell’azienda di mio papà, a Milano. Marisa, a soli dodici anni, lavorava come operaia addetta al lavaggio di trippa, presso una ditta locale.
Per merito di mia nonna Ida che prese a cuore quella dolorosa situazione, Marisa abbandonò il fardello quotidiano e venne a far parte della mia famiglia. Mi resta una immagine onirica del giorno in cui, nonostante la mia tenera età, mi pervase un’emozione empirica. Con la nonna ci recammo al misero abbaino, salimmo i gradini incerti fino a raggiungere un ballatoio che si affacciava sul cortile.
Oltre la porta d’ingresso la penombra oscurò anche il nostro sorriso. Il soffitto della stanza era basso e cupo, il pavimento di cotto sconnesso, pochi mobili: tavolo, sedie e brandine. Niente servizi. Come partecipi dentro un racconto di Victor Ugo, fu facile intuire come quella mamma, bussando alla porta del cielo, con una preghiera avesse ottenuto di abbandonarsi sfinita fra le braccia sante di Gesù.
Come dono divino, giunse nella nostra chiassosa famiglia Marisa, un esserino da proteggere. Uno scricciolo di bambina che mostrava meno dei suoi anni, con lenti spesse su un minuscolo naso lentigginoso, un boccolo di capelli serpeggiante sugli occhiali e la boccuccia con un dentino “impertinente”. Inizialmente lei evitava di menzionare la mamma o i familiari; era curiosa, affascinata dal mangiadischi, dalla musica in voga allora. Manifestava una fame insaziabile, a tavola spingeva il boccone di pane in bocca con l’indice o proteggeva il suo piatto con il braccio libero.
Presto il suo esile corpicino si arrotondò, dalla crisalide si liberò una farfalla graziosa. Quando una lacrimuccia improvvisa le rigava il viso, mi attivavo veloce, la prendevo per mano trascinandola in terrazza dove abbracciate superavamo Il momento caduco. Svolgendo i compiti assegnati dalla mia maestra Brambilla, coinvolgevo Marisa in un gioco che mi faceva sentire grande: io “insegnante”, lei “scolara”, eseguiva il compito che le proponevo. Fra noi sorelline novelle un sentire invalicabile come fosse inciso nell’incedere di ciascuna.
Più grandicelle, a volte, ci avventuravamo su un treno che ci portava a Treviglio e… capitò anche di sbagliare fermata… ci venne in soccorso un signore cortese al quale ci rivolgemmo, (siamo rimaste sue debitrici). Un giorno, coinvolte da un richiamo silente, ci inoltrammo a piedi per parecchi chilometri, da Treviglio raggiungemmo il Santuario di Caravaggio. Là si impadronì di noi una ridolera infantile, un’energia gioiosa. Scoprimmo che in quel luogo, nel 1432, la Madonna apparve a una donna che si chiamava Maria Giovanna, (come la mamma di Marisa).
Giunse il tempo in cui le avversità nel lavoro di papà ci condussero al sud, dove si spense definitivamente la nostra fanciullezza. Crescere in Sicilia non è stato un gioco, anche se abbiamo sempre superato ogni periodo cupo, colto quei caratteri di validità che ci hanno rese forti. Quanti pastelli colorati hanno dipinto il nostro incedere fra nord e sud!!!
Ci siamo presto scoperte corteggiate, donne, abbiamo provato i primi palpiti d’amore, magari deluse dalle chiacchiere in un paese arretrato. Abbiamo vissuto l’ignominia della morte di chi più amavamo, superato momenti in cui è stata minata la nostra salute… ma anche goduto le piccole, grandi vittorie, che cl sono state donate.
Ora, affacciate alla soglia del tempo inesorabile che tutto inghiotte, in questo burrascoso fiume, restiamo aggrappate a un raggio di luce a cui ci affidiamo, avvinghiate ai nostri ultimi amori.