Quante volte mi è capitato di ricevere una chiamata drammatica come quella riportata nel titolo! È un allarme che mette in luce la differenza tra la realtà di oggi, purtroppo frequente, e il mondo possibile che vorremmo costruire attorno alle persone anziane malate.
Come bisognerebbe cambiare la nostra organizzazione sociale perché questi appelli drammatici possano trovare adeguate risposte? In particolare, gli appelli al femminile, che testimoniano l’impegno senza fine delle donne, che nelle famiglie ricoprono il ruolo di caregiver per il 90% delle situazioni.
In questa sede non voglio riassumere l’insieme dei nostri servizi per gli anziani, ma soffermarmi in particolare su quelli di emergenza; tutti avvolti da condizioni di criticità, ma questi ultimi, in particolare, al centro di eventi che fanno disperare. Dedico quindi specifica attenzione alle decisioni che dovrebbero prendere i programmatori per evitare la disparata solitudine di alcune famiglie, che non trovano risposta quando capita un fatto inatteso. I servizi sono programmati in modo miope, perché ipotizzano che la famiglia sia sempre in grado di farcela, approfittando della sua plasticità. Un atteggiamento superficiale, perché questa lettura del mondo non tiene conto delle drammatiche modificazioni avvenute negli ultimi anni, con la famiglia sempre più fragile e un più alto numero di anziani da aiutare a vivere. Un esempio classico è quello delle persone affette da demenza, che sopravvivono molto più a lungo rispetto al recente passato; così, ad esempio, un componente della famiglia ha iniziato a presentare i sintomi della malattia quando quella famiglia aveva una certa struttura e organizzazione. Dopo 10 anni, di malattia, la stessa struttura può essersi trasformata, con esigenze e difficoltà diverse riguardo all’organizzazione di un’adeguata protezione dell’ammalato, degli interventi clinico-assistenziali necessari per difendere un minimo di benessere e di salute. La resistenza fisica e psicologica di fronte alle pesantezze dell’assistenza diviene sempre più precaria, quando il caregiver principale si trova solo, mentre negli anni precedenti era circondato da altre persone che mostravano la loro vicinanza, intervenendo opportunamente quando comparivano momenti di crisi.
In questi casi è sufficiente un evento apparentemente banale (certamente non per chi è direttamente coinvolto), come la malattia di una badante, per sconvolgere la vita della microfamiglia, con il caregiver che improvvisamente non può più andare a lavorare, che da solo a causa dell’impegno fisico non riesce più ad alzare, a lavare, a movimentare il proprio caro, che non potendolo abbandonare nemmeno un momento non può più svolgere altre funzioni, come preparare il cibo per ambedue. Di qui l’appello riportato nel titolo; era rivolto ad un’ amica, perché non vi era nessun altro componete della famiglia disponibile. Ma anche l’amica aveva pochissimo tempo a disposizione, perché perno di un gruppo di tre nipotini bisognosi di sorveglianza e di cure.
In alcuni casi il caregiver chiede di poter ospitare (a pagamento!) il proprio caro nella vicina Rsa; talvolta la risposta è positiva, talaltra no. In molti casi inizia un pellegrinaggio doloroso alla ricerca di una risposta positiva, che comporta sempre uno stress rilevante per l’ammalato, che si vede trasferito in un ambiente estraneo, senza avere il tempo di organizzare un passaggio graduale, assistito con attenzione e gentilezza. Certo, in un “mondo possibile” si potrebbe ipotizzare l’organizzazione da parte delle autorità sanitarie del territorio o da parte del comune o di qualsiasi altra organizzazione che sappia cogliere il grido di dolore del famigliare, dell’invio a casa di una badante in grado di sostituire temporaneamente, ma con professionalità e sensibilità, la collega ammalata. Il tutto dovrebbe essere organizzato con una precisa regia, in tempi rapidi, senza attendere “le carte” né il “ci penseremo dopo il weekend”. Di fronte ad una sofferenza non rinviabile, è possibile pensare di non rinviare le risposte? La burocrazia e i weekend (scritti rigorosamente in inglese) sono i peggiori nemici di chi si trova disperato a guardare e ad accompagnare le difficoltà del proprio caro. Le famose case della comunità, delle quali si sono visti prevalentemente i progetti edilizi, potrebbero avere anche il compito di aiutare chi da solo non ha tempo per aspettare “le carte” o i buchi di fine settimana? Sarebbe un mondo possibile, purché…
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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