La comunità carceraria si sta preparando a vivere questo appuntamento con la storia Padre Lucio Boldrin: «Speriamo tutti che il Giubileo non sia solo il 26 dicembre»
Per la prima volta nella storia del Giubileo, dopo quelle delle quattro basiliche papali, una quinta Porta Santa sarà aperta in carcere. È l’istituto penitenziario di Rebibbia, a Roma, ad accogliere papa Francesco il 26 dicembre. Il Pontefice, già nella Bolla d’Indizione del Giubileo 2025, Spes non Confundit, aveva sottolineato l’importanza della cura dei detenuti e del loro reinserimento sociale. A pochi giorni dall’evento, la comunità carceraria, guidata da Padre Lucio Boldrin – cappellano di Rebibbia e delegato regionale alle carceri del Lazio – si prepara ad accogliere l’arrivo del Santo Padre.
Padre Lucio, come si sta preparando la comunità ad accogliere questo evento?
Stiamo lavorando alla preparazione dell’evento, abbiamo una bellissima porta artistica all’ingresso della cappella che ospiterà la cerimonia. La comunità di Rebibbia Nuovo complesso accoglie circa 1.600 detenuti e non per tutti sarà possibile assistere all’evento, purtroppo. Per fare in modo che più persone possibili possano godere dell’appuntamento con il Papa stiamo cercando di montare un pannello esternamente per dare modo di seguire l’apertura; anche il coro sarà composto da detenuti.
Se per le altre basiliche papali l’accesso sarà consentito per l’intero anno giubilare, questo sarà possibile anche a Rebibbia?
La nostra speranza è che ciò accada, sia per i detenuti che per le loro famiglie. Noi cappellani abbiamo dato ampia disponibilità, ma non sappiamo se verrà concesso di tenere la chiesa aperta tutte le mattine per una questione di sicurezza e di scarsità del personale di vigilanza.
Quali benefici questo appuntamento avrà per la comunità carceraria e come potrà cambiare la visione che esternamente si ha degli istituti di pena?
I detenuti sperano che questo Giubileo porti loro l’amnistia e l’indulto, ma senza aiutare il loro reinserimento nella società è difficile evitare che tornino a delinquere, come già accaduto in passato. È importante sollevare l’attenzione sul fatto che in carcere ci sono persone che potrebbero beneficiare di altre restrizioni alternative al carcere. Basti pensare che molti dei detenuti reclusi scontano una pena inferiore ai tre anni che non prevede il carcere. Sono persone che hanno sbagliato e che devono essere supportati per il reinserimento nella società, come del resto dice la nostra Costituzione. Il carcere non può e non deve essere una discarica sociale. Davanti a noi ci sono donne e uomini che hanno sbagliato, ma le persone non sono il loro reato.
Che rapporto hanno i detenuti con la fede?
C’è a chi non interessa nulla ma in linea di massima c’è un grande rispetto. Quello che mi sta colpendo di più è il rispetto dei ragazzi musulmani, quando li incontro più di uno mi dice che dobbiamo tutti ricordarci che siamo figli di un unico Dio. Un ragazzo che sta vivendo il dramma della guerra in Oriente mi dice spesso “ma non si rendono conto che quello che stanno facendo fa sì che crescano nuove realtà di violenza? I bambini cresceranno soltanto con l’odio”. In uno dei reparti in cui celebro messa in corridoio perché i detenuti non possono uscire dalla cella, loro – facendo spuntare le mani dalle sbarre – mi fanno domande e mi chiedono di quanto sta accadendo.
Come vive il suo impegno in carcere?
Sono cappellano a Rebibbia da cinque anni, è un’esperienza che aiuta a riflettere diversamente da come la si percepisce dall’esterno. È importante non avere pregiudizi, di fronte ho le persone e non il reato che hanno commesso. Il momento più pesante della giornata è la sera, quando esco dall’istituto e intorno a me si fa il silenzio. È esattamente in quell’istante che mi tornano alla mente tutti gli attimi della giornata, come se fosse un film. Deve esserci da parte di tutti l’impegno a creare comunità che accolgono i detenuti, soprattutto quando non hanno famiglie perché una volta fuori dal carcere, in assenza di riferimenti, tornano a commettere errori. Per i detenuti stranieri, poi, la questione è ancora più complicata perché sono completamente soli e senza strumenti.
Cosa porterà il Giubileo?
In tanti aleggia il timore che il Giubileo sarà solo il 26 dicembre. Intanto, da gennaio, a tutti gli istituti di pena sarà consegnata una lampada realizzata dai detenuti del carcere di Salerno: questa lampada verrà donata a una parrocchia come testimonianza dell’impegno dei detenuti al fine di aprire una nuova visione sulla realtà carceraria.
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