Paola Parodi. Diplomata Istituto Magistrale, da sempre casalinga ha scoperto recentemente la passione per la scrittura. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Montaldo Scarampi (At).
In una calda sera di luglio, in occasione di un evento culturale ad Assisi, io e mio marito ci trovammo a cena, intorno ad un tavolo rotondo, insieme ad altre otto persone, a noi sconosciute. Solo un biglietto al centro del tavolo accomunava alcuni di noi: le origini genovesi.
Venne naturale presentarci e la prima domanda che ci venne rivolta fu “Ma siete proprio di Genova o.…?”. Quella “o” sottintendeva “o rivieraschi?” come si dice in Liguria. Alcuni erano proprio di Genova come noi, avevano vissuto lì gli anni più belli, quelli della giovinezza, della scuola, dell’università e poi il lavoro li aveva portati altrove ma con Genova sempre nel cuore. Fra una portata e l’altra venimmo a sapere che una signora seduta al mio fianco e dal bel sorriso comunicativo era la sorella di un compagno universitario di mio marito. Lo stupore per lui fu grande, incredibile fu, dopo tanti anni, trovare un legame che riportava alla memoria quel caro amico. Quel nome suscitò molti ricordi legati ai bei tempi trascorsi insieme nelle aule universitarie a preparare la tesi di laurea, in un clima goliardico e scanzonato, tipico del periodo e della giovane età. Di colpo gli tornarono alla memoria aneddoti divertenti e si mise così a raccontare di quel giorno in cui questo suo compagno, in vista di un esame, andò in cerca del Professore di Architettura Navale per farsi apporre sul libretto la firma di attestazione di frequenza, in quegli anni obbligatoria; sennonché alle lezioni aveva ben poco o per nulla preso parte e quindi, non conoscendolo, chiese a un tale, che in maniche di camicia si aggirava per una sala dell’Istituto, se poteva indicargli dove trovare il docente. A quel punto costui gli si rivelò dicendogli che stava proprio parlando con il professore in questione e avendo capito tutto, indignato per tanta sfrontatezza, lo cacciò in malo modo.
Questa ingenuità costò cara all’amico, perché in seguito fu amabilmente “ricattato” dai compagni della sala laureandi che gli affibbiarono una valanga di “punti rossi”. Tali punti, una sorta di punizione goliardica, potevano essere riscattati solo con l’offerta “spontanea” di focaccia e vino bianco da consumare tutti insieme in allegria. Quel celiare e prendersi in giro aiutava ad alleggerire la tensione per lo studio impegnativo, le nottate a preparare i disegni e il duro lavoro svolto per conquistare la laurea tanto ambita. E poi ancora il ricordo come spettatori, di quell’evento annuale che avveniva, nel periodo di Carnevale, a teatro con lo spettacolo della Baistrocchi, una compagnia di studenti universitari formata solo da uomini che, ricoprendo ruoli maschili e femminili, mettevano in scena un varietà di satira bonaria anche nei confronti dell’amministrazione comunale.
Risate a crepapelle, ovazioni e lanci di rotoli di carta igienica a mo’ di stelle filanti durante tutte le esibizioni che si concludevano con il famoso “Can Can” interpretato da ballerine pelose e con barba e baffi di cui faceva parte proprio un compagno di corso nel ruolo di ballerina di prima fila.
Quel tempo era ormai lontano eppure sempre vivo nel cuore e nella mente. Gli anni poi erano passati, ognuno aveva fatto il proprio percorso professionale e si erano persi di vista, come spesso accade, e adesso che lo aveva “ritrovato” …la notizia ferale: questo amico, soltanto un anno prima, era stato portato via dal male del secolo. Quando in gioventù si condividono tappe importanti con un amico al quale ci si sente più legati perché trasportati dal suo carattere gioviale ed estroverso e con il quale si instaura una certa affinità, i ricordi rimangono indelebili e faranno per sempre parte del proprio bagaglio umano. Ecco allora che la sua perdita dolorosa impone una riflessione. Spesso ci si sente immortali e si pensa di avere ancora tempo davanti, rimandiamo quel viaggio, quell’incontro, quella telefonata, quell’abbraccio, ma trovare il tempo per sé e per gli altri può diventare la misura che fa da contrappunto all’ineluttabilità del domani. Il tempo da dedicare, il tempo di ascoltare è il regalo più grande che si può fare ed è più prezioso di qualunque gioiello.