Le vicende degli ultimi anni hanno contribuito a creare una pesante atmosfera di insicurezza. A farne le spese è stata soprattutto la salute mentale dei giovani. Tra paure e disillusioni analizziamo numeri e responsabilità per valutare possibili soluzioni.
Morale a terra, difficoltà di concentrazione, insonnia, ansia sono sensazioni che capita di provare nel corso della vita. Momenti difficili, il più delle volte transitori e riconducibili e specifiche motivazioni; situazioni da cui, attraverso una necessaria presa di coscienza, si può venire fuori, con le proprie forze o con un supporto medico.
Quando a farci i conti sono giovani, se non giovanissimi, è la paura ad emergere prima della consapevolezza, quella stessa paura che immobilizza, che non fa dormire o mangiare, quel ‘mal di vivere’ che conduce spesso ad isolarsi o, nella peggiore delle ipotesi, a compiere atti estremi.
Un disagio giovanile oggi dilagante, a cui ha senza dubbio contribuito lo stop forzato imposto dal lockdown durante la pandemia da Covid-19. Intere esistenze messe ‘in pausa’ dalla quotidianità, dalla scuola, dalle amicizie. È davvero la pandemia l’unica responsabile dell’ormai conclamato disagio mentale diffuso tra i giovani o dobbiamo guardarci intorno, guardarci dentro, per cercare di individuare l’origine di questo malessere e, soprattutto, di attivarci per porvi rimedio?
Con il rapporto La condizione dell’infanzia nel mondo 2021, l’Unicef forniva alcuni dati: su circa 1,2 miliardi di adolescenti dai 10 ai 19 anni, oltre il 13% soffriva di un disagio mentale, nel 2020. Secondo il rapporto La condizione dell’infanzia nell’Unione europea 2024, anche questo di Unicef, più di 11 milioni di bambini e giovani soffrono di un disagio psichico. Un quinto dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni soffre di ansia e depressione. Un dato che sembra essere destinato a crescere. A focalizzare l’attenzione sul panorama italiano, invece, il recente dossier di Telefono Azzurro, realizzato in collaborazione con Bva Doxa attraverso la somministrazione via web di 800 interviste – a risposta multipla – a ragazzi tra i 12 e i 18 anni. L’indagine parte da un’analisi dello stato d’animo dei giovani mettendo subito in evidenza che, a fronte di un 41% che si dichiara felice, il 21% dei giovani si sente in ansia, il 20% è preoccupato e il 15% prova uno stato di agitazione. Riguardo alle loro aspettative sul domani, il 15% si definisce piuttosto pessimista, dichiarando di ‘vedere’ un futuro oscuro.
A destabilizzare ulteriormente la serenità dei giovani hanno inevitabilmente contribuito anche i conflitti in atto (Russia-Ucraina e Medio Oriente), nei confronti dei quali più della metà del campione ascoltato prova tristezza, rabbia (49%) e angoscia (39%), tanto che 1 ragazzo su 5 dichiara di avere spesso incubi sugli attacchi armati.
I giovani intervistati mostrano idee chiare e notevole sensibilità anche rispetto alle possibili cause di disagio dei propri coetanei. I principali motivi di sofferenza sono (consapevolmente) attribuibili alla dipendenza da Internet e/o social network (52%), alla mancanza di autostima e alla difficoltà a relazionarsi con gli adulti (40% circa), a disturbi di ansia e attacchi di panico (30%); e ancora, alla difficoltà a relazionarsi con i propri pari (29%), a stati di depressione/tristezza (25%) e a disturbi alimentari (20%). L’inesistenza di problemi psicologici è relegata ad un isolato 2%.
Quali sono le loro aspettative, quali i suggerimenti per poter uscire da questa impasse? Il 61% del campione intervistato vorrebbe parlarne di più ma spesso si sente frenato per l’imbarazzo provato nel chiedere aiuto. Il 39% ritiene utile affidarsi a un professionista della salute mentale; la medesima percentuale di ragazzi desidera che la scuola si faccia portavoce di queste problematiche, dando modo di parlarne in maniera approfondita. Particolarmente interessante, poi, la percentuale di ragazzi (41%) che troverebbe utile ‘insegnare’ ai genitori un modo per aiutare i figli a superare il loro malessere. Un dato indicativo che sembrerebbe sottolineare la difficoltà ad affrontare e gestire tali situazioni in ambito familiare. Infine, il 23% preferisce esprimersi in forma anonima, ‘come in una chat’, evidente escamotage per aggirare la dichiarata ritrosia ad esporsi apertamente.
Le motivazioni di questa resistenza ci vengono fornite dalle risposte date alla domanda “Ti capita di parlare di salute mentale nella vita di ogni giorno?”. A fronte di coloro che hanno risposto “poco” (42%) o “sì, ma vorrei parlarne di più” (21%), chi chiede aiuto ad un esperto di salute mentale teme di essere giudicato in modo negativo nel 33% dei casi. Una convinzione avvalorata dalla percezione dell’atteggiamento assunto nei confronti di persone con problemi nell’area della salute mentale: il 29% degli intervistati è convinto che la società tenda conseguentemente all’esclusione sociale o alla discriminazione (31%).
Quindi con chi confrontarsi, a chi affidarsi per parlare in libertà del proprio disagio? Alla tecnologia, all’Intelligenza Artificiale? Sembra di no, visto che all’idea di utilizzare chatbots (software guidati dall’AI che simulano/elaborano conversazioni umane, consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali n.d.r.) per superare l’imbarazzo di un dialogo diretto, il 27% degli intervistati risponde che sono privi di empatia e non fanno sentire veramente ascoltati (28%), contro un 25% che li utilizzerebbe solo per non sentirsi giudicati.
D’altro canto, è indiscutibile quanto web e social influenzino la quotidianità dei giovani, tanto da rappresentare – più o meno consciamente – una sorta di rifugio virtuale in cui sentirsi protetti. Infatti, pur consapevoli dei potenziali rischi di sviluppare una dipendenza (92%), i ragazzi trascorrono online mediamente 3 ore al giorno per rilassarsi (58%), per restare in contatto con amici e familiari (54%), per combattere solitudine e noia (31%) per fare nuove amicizie (23%). Alla prospettiva di ‘scollegarsi’, il 22% dei giovani si dichiara in ansia o addirittura perso (23%).
Un quadro ben preciso, fatto di dati, numeri e percentuali, che deve spingerci a riflettere ma, soprattutto, ad agire. I giovani hanno il diritto di trovare punti fermi in ognuno di noi – famiglia, scuola, istituzioni -, e noi abbiamo il dovere di fornire loro le risposte che cercano e la fiducia necessaria per affrontare il domani. Tenendo bene a mente che il loro futuro dipende molto dalla qualità del loro presente.
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