Per capire la reale situazione della povertà nel nostro Paese – e non solo – ci vengono incontro i dati di numerosi studi, documenti e rapporti. E il quadro che ne esce non è confortante
I dati e gli indicatori degli ultimi due anni, raccolti in numerosi e dettagliati rapporti, hanno evidenziato come la crescita della povertà in Italia sia stata accompagnata anche dall’acuirsi di tante forme di disparità sociale.
Secondo le stime Istat, ad oggi sono quattro milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta, per un totale di 5,6 milioni di individui e, in termini di tipologie familiari, lo stato di disagio economico è strettamente associato al numero dei componenti: l’incidenza della povertà assoluta è del 20,5% tra i nuclei con cinque e più componenti, dell’11,2% tra quelli con quattro componenti e dell’8,5% tra quelli con tre. Le famiglie monogenitoriali povere raggiungono l’11,7% del totale. Si collocano sotto la media nazionale i livelli di povertà registrati nelle famiglie con almeno un anziano (5,6%) o tra le coppie over 64 (3,7%).
L’istruzione continua a rappresentare, ancora più di prima della pandemia, un fattore che influisce sullo stato di deprivazione: dal 2020 a oggi, infatti, si sono aggravate in particolare le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento ha conseguito la licenza elementare o media inferiore.
Il Rapporto Caritas Oltre l’ostacolo, su povertà ed esclusione sociale in Italia, mette in luce l’elemento educativo come fattore chiave per la ripresa, e conferma come il 2020 abbia segnato un netto peggioramento delle condizioni di vita degli occupati in posti lavorativi non specializzati. Un altro aspetto sul quale si sofferma è il dato della cittadinanza, che denota forti disuguaglianze fra italiani e stranieri residenti, ulteriormente aumentate.
I dati nazionali rispecchiano l’andamento della situazione globale, come riporta un altro documento, il Sustainable development Goals, pubblicato nel luglio scorso, che rappresenta la fonte più autorevole per approfondire lo stato di attuazione dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. La pandemia ha abbondantemente accentuato le disuguaglianze, non solo economiche, rendendo più difficoltoso l’accesso al welfare. La crisi sanitaria ha peggiorato i divari sociali all’interno dei singoli Paesi e l’Italia non ha fatto eccezione. Nello studio di Francesco Armillei e Francesco Filippucci The heterogenous impact of Covid-19 from italian municipalities, uscito nell’agosto scorso, si evidenzia come la maggiore mortalità per il virus si sia registrata in quei comuni associati a livelli di reddito e di istruzione più bassi, e a una quota maggiore di occupazione nell’ambito dei lavori industriali, rispetto al commercio e ai servizi. Lo stesso smart working, di cui si parla anche nel Rapporto Caritas, ha amplificato le disparità sociali, in primo luogo fra quelle categorie che ne hanno o meno beneficiato. In modalità “agile” ha potuto operare il 42,5% dei laureati, il 17,6% dei diplomati e solo il 3,4% di chi ha completato l’istruzione obbligatoria. Un altro elemento discriminatorio, anche a parità di accesso, è legato agli spazi abitativi, oltre che alla dotazione informatica, perché i nuclei più poveri sono caratterizzati da una più elevata incidenza di condizioni di sovraffollamento.
Vedere il proprio reddito in calo e rientrare in una condizione di povertà per molti ha significato anche dover cancellare servizi essenziali, come le prestazioni sanitarie. A dirlo è il Rapporto Cerved 2022, sul Bilancio di welfare delle famiglie italiane, che ha rilevato come nel 2021 più della metà dei nuclei, il 56,8%, abbia rinunciato a servizi di assistenza agli anziani, e il 58,4% ai servizi di cura dei bambini e all’educazione prescolare. Tre le motivazioni principali: la restrizione nella disponibilità dei servizi provocata dalla pandemia e il timore del contagio da parte dei cittadini, che hanno preferito rinviare visite ed esami specialistici; l’impoverimento economico, che ha comportato la necessità di fare scelte drastiche nel bilancio familiare; l’offerta giudicata inadeguata, soprattutto nel settore dell’assistenza agli anziani, ritenuto insufficiente da più del 60% delle famiglie. Chi non ha trovato risposte nel sistema di welfare si è dovuto adattare ad un nuovo assetto domestico, per prestare assistenza personalmente al familiare anziano o che necessiti di cure costanti, indipendentemente dall’età. Ad oggi, sono quattro milioni i senior che vivono da soli o con altri anziani, e rappresentano il 28,9% del totale. Nel 67,3% di questi nuclei familiari, l’assistenza è prestata esclusivamente dai parenti, senza l’ausilio di servizi.
L’ultimo Rapporto Oxfam, La pandemia della disuguaglianza, rilasciato lo scorso gennaio, dedica un capitolo all’Italia e al mercato del lavoro alla prova del Covid-19, e mette in evidenza come il sistema occupazionale nazionale fosse già estremamente disuguale prima del 2020. Nel 2019, infatti, l’11,8% dei lavoratori occupati per almeno sette mesi l’anno era già povero, e quasi un terzo fra dipendenti privati, lavoratori domestici e professionisti presenti negli archivi Inps risultavano working poor. A contribuire a questa povertà lavorativa, che si stima in un reddito annuo che non supera i 10.800 euro, è la diffusione del part time, spesso involontario, la cui incidenza è triplicata dall’inizio degli Anni 2000. Inoltre, il ricorso al lavoro precario ha assunto un carattere strutturale, dato riscontrato anche nell’ultima “ripresa” del 2021, che si è contraddistinta per assunzioni con contratti a termine, la cui incidenza è fra le più alte d’Europa. Nel biennio della pandemia si è acuito anche il divario di genere, e le donne sono state più penalizzate nel mercato del lavoro, per la maggiore presenza in settori definiti “non essenziali” e quindi soggetti a chiusure e maggiori restrizioni, e per una più marcata carenza di rinnovi contrattuali, oltre che per un discorso legato alla cura familiare, dei minori e degli anziani, e dunque, a chiusura del cerchio, alla carenza di servizi di welfare.
Il Rapporto Censis-Tendercapital, Inclusione ed esclusione sociale: cosa ci lascerà la pandemia, ha raccolto le opinioni dei cittadini alla fine del 2021. Il 24,7% del campione si è detto confuso, il 39% ottimista e il 36,3% pessimista. I più scettici sulla ripresa sono proprio i bassi redditi (40,3%), gli operai ed esecutivi (42,1%) e le donne (42,2%). Nel milione di nuovi poveri generato dal Covid (+21,9% rispetto al 2019) ci sono 532mila donne e 222mila giovani. Ad alto rischio povertà, nel protrarsi dell’emergenza, sono le persone senza risparmi: il 23,1%, che non dispongono di un fondo da cui attingere in caso di necessità. La povertà economica e culturale si riflette anche sulla connettività: il 16,5% degli italiani non è un utente internet, l’11,1% possiede una connessione poco performante e 27 milioni di persone hanno difficoltà a svolgere attività da remoto tramite i loro dispositivi, perché inadeguati.
In generale, se c’è stata una “tenuta” delle famiglie, si deve non solo ai trasferimenti statali di denaro, circa 60 miliardi di euro dei quasi 93 che si calcola siano stati persi, ma anche alla redistribuzione del reddito avvenuta all’interno dei nuclei, soprattutto grazie ai 9 milioni di pensionati che hanno dato sostegno economico a figli e nipoti. Fra gli intervistati, il 92,8% ha dichiarato che per combattere la povertà vorrebbe comunque una politica più orientata alla creazione del lavoro e non alla moltiplicazione dei sussidi.
Assoluta o relativa. I parametri della povertà
La soglia di povertà assoluta è la somma delle spese mensili per un paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età e al numero dei suoi componenti, alla ripartizione geografica e al comune di residenza. Ad esempio, nel 2020, la soglia di povertà assoluta per un individuo singolo fra i 18 e i 59 anni, residente nella periferia di una grande città con più di 250mila abitanti o in un comune con più di 50mila abitanti nel Centro Italia, era di 761,02 euro. L’incidenza della povertà assoluta espressa in percentuale è il rapporto tra il numero di famiglie, anche monocomponente, considerate povere, e il numero totale di famiglie residenti.
La povertà relativa, invece, è definita in base alla spesa media mensile per consumi pro-capite, dunque è unica per tutto il Paese. Nel 2020 il valore di riferimento per una famiglia di due persone era di 1.001,86 euro.
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